Questa è una mia esecuzione dell’esercizio I SUONI NASCOSTI.
Non la propongo perché è particolarmente avvincente, ma perché si faccia caso agli aggettivi che definiscono i rumori e ai paragoni portati per far capire meglio com’è il rumore. E anche al contesto: il rumore s’inserisce in una situazione precisa, di tempo e di spazio, e così acquista un carattere più preciso. Prova anche le definizioni onomatopeiche, come il ‘trasc trasc’ del penultimo rigo. E’ divertente cercare di rendere con lo scritto i suoni, anche se non sempre così facile come sembrerebbe.
Il borgo dove abito sembra addormentato. Sono le sei e un quarto di una domenica pomeriggio d’inverno e le finestre sono chiuse, ma anche se le aprissi non sentirei nulla.
Mica facile! Ok, chiudo gli occhi.
C’era la radio accesa, la spengo perché mi confonde, anche se forse è l’unico rumore ‘umano’ di questa stanza, visto che io sono ferma, anzi immobile.
Sono seduta al tavolo di cucina che è anche il mio tavolo da computer e, ecco, ora sento.
E’ il frigo, che emette due tipi di suoni, credo che non stia tanto bene. Il primo è una sorta di risucchio acquoso, come se qualcuno mangiasse una minestra tirando su dal cucchiaio, ma sottile, appena percepibile, però continuo; il secondo s’innesta sul primo regolarmente ed è uno sgocciolìo piano, quasi morbido e triste, che s’interrompe per pochi secondi poi riprende.
L’altro è il ronzio del computer, costante e metodico, che fa il paio col ronzio che sento sempre nei miei orecchi quando intorno c’è silenzio, forse capita anche a qualcuno di voi. E’ un suono leggero, talmente abituale che a malapena lo sento ma è qui, costante e fedele. Non saprei che qualità ‘sensoriale’ attribuirgli, non è freddo, semmai tiepido nella sua costanza, rotta solo ogni tanto dal grr grr che si sente quando si apre un nuovo file o comunque il computer cerca di adeguarsi a qualche cambiamento. In realtà cambiamenti non ce ne sono ora, forse è lui che si è rotto le scatole della sua stessa monotonia.
E, ultimo. Il tac tac dell’orologio a pila appeso alla parete. Anche questo un rumore che non sento mai se non ci faccio caso. Costante, basso ma deciso, un soldatino che non perde mai il passo.
Ora mentre scrivo è arrivato qualcuno, una portiera d’auto si è aperta e richiusa fuori dalla mia finestra con uno scatto secco e metallico, e qualche secondo dopo il cancello esterno di ferro si è aperto e richiuso con uno schiocco forte e ghiacciato, ferro contro ferro.
E’ tutto, direi. Stamattina camminavo nel bosco esercitandomi a sentire i rumori e nonostante l’assordìo della motosega (stanno tagliando il bosco e non si fermano nemmeno la domenica) che tacitava gli uccellini, ogni tanto si levava il rasposo gracchiare delle ghiandaie e qualche timido accenno di cinguettìo, più un pigolìo appena appena, di qualche passero o suo parente dalla cima di un albero, un suono acuto e appuntito, Poi sono entrata in un castagneto, dove le foglie ormai tutte cadute facevano un vero e proprio tappeto, ho cercato di sentire il trasc trasc delle mie scarpe e dargli – appunto – un suono che potessi scrivere.
Mi ha incuriosito questo testo, mi ha trasmesso il desiderio di ascoltare i suoni e descriverli.
Grazie.