Vai al contenuto

Un banale errore

Un banale errore 

autore Daniele Bernazzi

Alle 6:40, come ogni lunedì, una voce suadente lo svegliò dal suo torpore e lo accompagnò verso le sue abluzioni mattutine.

Le parole e il motivo li aveva scelti lui fra quelli selezionati per il suo profilo e durante la colazione quel sottofondo iniziò a farlo entrare nel vivo della giornata inserendogli alcune informazioni fra quelle indicate per lui dal Centro Trasmissioni. Le notizie di una tempesta sulla costa che aveva causato danni, dell’approvazione di un nuovo medicinale per la cura della sclerosi, di un cane smarrito nel suo rione, scendevano lievi dentro di lui, con un tono pacato che indulgeva alla tranquillità e al controllo delle emozioni.

Con la testa immersa in quelle soffici nuvole sonore, Marcus uscì per andare in ufficio nell’unico giorno della settimana in cui si era imposto di frequentare quelli che un tempo erano luoghi con un minimo di vita sociale.

La metropolitana non era molto affollata e regnava un silenzio quasi totale, turbato solo dal fruscìo dei vagoni a levitazione. Nessuno parlava, tutti gli sguardi erano calamitati da schermi con immagini personalizzate; alcune persone usavano occhiali a realtà aumentata che sullo sfondo del mondo circostante inserivano filmati e notizie. Erano un accessorio che anni addietro tutti avevano, ma si era rivelato poco pratico perché molti tendevano a confondere la realtà circostante con quanto visto attraverso gli occhiali e, oltre a questo, le novità della moda ne avevano decretato l’obsolescenza lasciandoli sul naso solo di alcuni irriducibili.

La maggior parte dei viaggiatori indossavano gli indumenti attivi: impermeabili, giubbotti, pantaloni che si illuminavano di immagini per soddisfare la necessità mattutina di informazioni e quella di impiegare produttivamente il tempo del viaggio. Anche un bambino seduto accanto alla mamma era immerso in un gioco sulla manica del suo maglione e toccava le fibre sensibili con una maestria che faceva intuire lunghe ore trascorse davanti a quel passatempo.

Marcus, invece, errava con lo sguardo sugli altri passeggeri: ognuno era una fonte a cui abbeverava la sua fantasia. Quella donna seduta in fondo avrebbe potuto essere la sua compagna, chissà quante cose avrebbe condiviso con lei: “Cosa ti piacerebbe per cena? Dove andiamo in vacanza? Vorrei tanto avere un figlio con te.” L’altalenante corso dei suoi pensieri era trasportato dal treno, che con il suo ritmo di accelerazioni e frenate sembrava lottasse continuamente fra il desiderio di arrivare velocemente a destinazione e la necessità di fermarsi alle stazioni per rinnovare il carico umano.

Quasi tutti avevano in testa la cuffia schermatrice, un accessorio che avrebbe dovuto impedire alle macchine leggi-pensiero di penetrare anche questo ultimo baluardo; in realtà circolavano solo voci riguardo l’esistenza di tali macchine e il governo si prodigava a tranquillizzare la popolazione che non ne avrebbe mai permesso l’impiego, ma era bastata la semplice prospettiva di essere defraudati della propria intimità per scatenare una corsa ad avere quell’accessorio, divenuto indispensabile. Ne avevano sofferto le capigliature, schiacciate, nascoste, soffocate al punto che ormai tutti si rasavano i capelli a zero per evitare problemi. Anche Marcus si era messo la parrucca sopra la cuffia; oggi aveva deciso quella nera liscia tra le tre che aveva.

Marcus avrebbe voluto lottare per distruggere le macchine leggi-pensiero e condividere con gli altri un’etica che impedisse la loro costruzione, ma sentiva la sua inadeguatezza nel ruolo di leader e oltretutto sarebbe stato irriconoscente voler combattere quella società che provvedeva alla sua tranquillità e al suo benessere: in fondo fare finta di niente aveva il vantaggio di camminare in un percorso conosciuto.

Una volta sceso alla sua fermata, nei corridoi della stazione fu abbagliato dagli schermi pubblicitari che si risvegliavano al suo sopraggiungere bersagliandolo con proposte personalizzate: una nuova parrucca, un viaggio in Antartide, un nuovo gingillo tecnologico del quale non aveva mai avvertito la mancanza ma che adesso gli sembrava bello possedere.

Marcus le avvertiva come odiose intromissioni nell’intimità perché, anche se non leggevano il pensiero, quelle macchine usavano una moltitudine di elementi per individuare cosa sarebbe stato opportuno proporre di acquistare, riuscendo a giungere fin nel profondo di desideri inconfessati.

Camminava sulla solita via, immerso nei suoi pensieri quando, improvvisamente, si sentì strattonato per la manica dell’impermeabile. Trasalì, si ritrasse di scatto e appena fu sufficientemente distante da chi lo aveva tirato in ballo, si girò per vedere chi fosse.

Il barbone, rincuorato dall’esitazione di Marcus, partì subito con una voce supplichevole, conscio che se avesse voluto essere ascoltato, avrebbe dovuto giungere al nocciolo della questione in meno di cinque secondi: “Per favore” – un secondo – “sa dirmi dove si trova via Matteotti?” Vai, fatto!

Marcus rimase incredulo, ormai più nessuno usava questi nomi arcaici per le vie, da quando il governo li aveva sostituiti con delle più anonime coordinate georeferenziali, mettendo così anche fine alle interminabili diatribe politiche che scaturivano dall’appartenenza di un personaggio ad una ideologia piuttosto che ad un’altra. La voglia di superare quel periodo era così forte che anche nel magma, ormai unica fonte informativa a disposizione di tutti, era difficile trovare indicazioni al riguardo.

Ma per Marcus il nome ‘via Matteotti’ aveva acceso una lontana e brillante scintilla: quando era ragazzo era dovuto andare a vivere un periodo da zia Luisa e lì aveva conosciuto Antonella, la figlia di un’amica della zia che abitava in via Matteotti. In un attimo gli tornarono alla mente i pomeriggi passati a giocare a nascondino, la leggerezza dei giochi innocenti e la simpatia per Antonella che, con gli occhi di un adulto, si sarebbe potuta chiamare amore.

Il barbone, vedendo l’esitazione di Marcus, considerò che aveva altri cinque secondi di bonus e ne approfittò subito: “Vorrei ritrovare la casa di mia sorella Matilde, morta tanti anni fa.”

Marcus era già partito, anche lui voleva ritrovare la casa di Matilde. No, di Antonella. Ma che importa Matilde o Antonella, l’importante era vivere una parentesi e ritornare a quei momenti e a quei brividi che già pregustava. Girarono un bel po’ e il barbone ritrovò la casa della sorella, mentre Marcus scrutava le facciate alla ricerca di qualche tratto familiare che lo riconducesse come un filo di Arianna a quei ricordi. “Eppure era in questo tratto; forse è stata ristrutturata e non la riconosco.“ Alla fine si dovette arrendere e si ripropose di tornarci una domenica, probabilmente con più calma sarebbe riuscito a riprendere il bandolo dei ricordi.

Mentre camminava verso l’ufficio si rese conto che aveva fatto tardi, tuttavia non se ne dolse più di tanto: in fondo il suo lavoro era una routine a cui nessuno badava.

Il suo ufficio non era grande e non aveva nemmeno una finestra, solo grandi schermi interattivi, davanti ai quali Marcus controllava che le colate di informazioni del magma fluissero nei tranquilli alvei della normalità; i piccoli sbuffi azzurri erano la nota stonata a cui lui doveva badare. Nel grande fiume giallo, arancione, rosso, granata, l’azzurro indicava un’attività contraria all’ordine costituito, che lui inquadrava e segnalava a chissà quale altro computer o gerarca. Immaginava il suo beep amplificarsi, percorrere i cammini stabiliti per atterrare da una scrivania dopo l’altra, fino a raggiungere il suo acme e ridiscendere verso qualcuno che sarebbe andato a pulire quella piccola macchia.

Il lavoro di solito monotono quella mattina aveva un aspetto diverso, il tempo passava meglio grazie alla leggerezza che gli avevano infuso gli eventi appena trascorsi e la sua mente svolazzava sopra le tracce multicolori che si muovevano davanti ai suoi occhi, quando l’apparire di un ologramma dirigenziale al centro della stanza lo fece atterrare bruscamente.

“Salve, dai piani alti mi fanno sapere di problemi strani, lei ha notato qualcosa?” Esordì una voce umana. “No, il flusso di informazioni mi sembra come al solito” rispose Marcus.

L’ologramma sparì, lasciandolo con un interrogativo legato più alla forma che al contenuto di quella inusuale richiesta, perché proveniva da un dirigente in persona, non dalla voce sintetizzata con cui erano emanate le direttive.

Riprese il suo lavoro svogliatamente: un tarlo in testa,col suo “crin crin” lo distraeva continuamente dall’attività che avrebbe dovuto svolgere. Per metterlo a tacere e fargli capire che tutto filava normalmente si decise a guardare un notiziario online, ma anche lì gli balzarono agli occhi notizie di un presunto spionaggio ai danni della polizia; cosa abbastanza strana perché di solito nei notiziari trovavano spazio per lo più avvenimenti neutri. Dopo un veloce pranzo con cibi sintetici bilanciati personalizzati, tornò a guardare i notiziari online sperando di ritrovare la normalità di un lunedì e notò invece che la problematica intravista poco prima si era acuita: la polizia stava apertamente criticando il governo di spionaggio.

Durante il viaggio di ritorno Marcus non badava agli altri passeggeri, ma rimuginava su quanto accaduto la mattina quando, improvvisamente, si ricordò che al suo arrivo in ufficio si era dimenticato di sostituire i codici di decrittazione. Una sferzata gelida lo attraversò, immediatamente collegò la sua mancanza con i problemi strani: i codici che lui sostituiva ogni lunedì servivano per decrittare flussi di informazioni e dovevano essere sostituiti periodicamente per non farsi accorgere di tale intromissione. Non era certo di ciò perché nessuno gli aveva detto lo scopo di quello che faceva, ma dentro di sé sentiva che era così.

Per tutto il tragitto fino a casa i pensieri gli turbinavano in testa e il cuore rimbombava nel petto:

“Cosa penseranno di me, che sono un rivoluzionario? Che sto architettando un piano segreto? Come posso rimediare?” Avrebbe voluto riavvolgere il nastro della giornata per correggere quello che era successo, avere la possibilità di far andare le cose nel verso giusto; rovinarsi la vita per una banalità gli sembrava immeritato.

La porta, riconoscendolo, si aprì e una musica iniziò a fluire dai diffusori; tutto era a posto, ma qualcosa stonava. I suoi sensi si acuirono e cercò di capire cosa fosse: l’attaccapanni sulla sinistra, il salone col tappeto davanti al divano, il quadro sulla parete destra … tutto normale … tranne … tranne un odore, ecco cosa non andava! Un profumo di qualcuno che era stato lì poco prima! Subito capì: erano già venuti in casa sua per cercare prove della sua cospirazione e certamente per installare spie e forse macchine leggi-pensiero. Un senso di smarrimento lo colse: cosa avrebbe fatto adesso? Come avrebbe potuto dimostrare la sua buona fede? E se si fosse tolto la cuffia schermatrice e avessero letto i suoi pensieri profondi di avversione al sistema? Si sedette sul divano rimanendo con lo sguardo perso nel vuoto per molto tempo, fino a quando si decise ad uscire con la speranza che un po’ di aria fresca e due passi lo avrebbero aiutato a chiarirsi le idee.

Uscito dal palazzo si incamminò verso il centro città con passo lento e dopo poco entrò in un pub richiamato dalla musica che arrivava fin sulla strada. L’arredamento era piuttosto tetro, con linoleum marrone sul pavimento e le pareti ricoperte da legno scuro; dietro una fila di rubinetti, un barman attempato con i capelli raccolti in una coda di cavallo tappettava un piccolo schermo in attesa dei clienti.

Marcus prese una birra energetica e si sedette ad un tavolo in fondo alla sala cercando la concentrazione per affrontare il suo problema; aveva appena bevuto il primo sorso, quando con suo gran stupore un uomo con uno strano abbigliamento senza chiedere niente si sedette al suo tavolo. Cercò di ricollegare dove lo aveva già visto e non dovette pensarci molto: aveva ancora negli occhi il flash di un tipo strano vestito con una antiquata tuta da aviatore del secolo scorso e gli stivali da cavallerizzo: lo aveva notato quando era uscito dal portone poco prima. Doveva averlo seguito fin lì e ora che gli sedeva accanto era chiaro che voleva qualcosa; non era però un uomo del governo perché quelli andavano in giro con vestiti più comuni e non avrebbero avuto difficoltà a entrare in casa sua per chiedergli direttamente cosa volevano sapere. No, chi mai poteva essere questo tipo segaligno con i baffetti a punta e gli occhi che facevano intuire una decisione e una scaltrezza non comuni? Marcus, sorpreso e impacciato, non proferì parola e rimase a guardarlo mentre armeggiava con una vecchia scatolina di metallo dove una luce rossa si accese dopo il tic di un interruttore.

“Ciao Marcus, è venuto fuori un bel casino, sai?”

La sorpresa lasciò il posto allo sgomento: come sapeva il suo nome? E incolpava lui di quello che stava succedendo!

“Io non … non ho fatto niente” balbettò.

“Non ti preoccupare, io sono Ludovico, un membro della comunità sotterranea.”

“Ma sei pazzo? Sai che dire questa cosa fa arrivare qui in pochi minuti una squadra di poliziotti che ci porta subito alla centrale?”

“Tranquillo, grazie al mio distorsore di spettro siamo protetti dalle microspie; per i leggi-pensiero ci devo lavorare, non ho ancora trovato le frequenze su cui operano.”

“Ma non farmi ridere: quella scatoletta preistorica non può certo fermare i dispositivi della tecnologia odierna. E poi se per i leggi-pensiero non funziona, come pensi di sfuggirgli?”

“Vedi, i dispositivi moderni di cui parli tendono a specializzarsi in funzioni sempre più raffinate e salgono, salgono verso la loro vetta tecnologica, dimenticandosi della base da cui sono partiti; questo semplice aggeggio gli toglie la terra da sotto i piedi regalandoci alcuni minuti di libertà di parola. Non sono ancora protetto dalle macchine leggi-pensiero, il lavoro sulle frequenze cerebrali è impegnativo; conto sul fatto che ce ne sono poche in giro e che un po’ mi ripara questo casco da aviatore schermato. Se non mi credi basta restare qui ad aspettare, mi prendo una birra anch’io e se quando le abbiamo finite non è ancora arrivata la polizia, vuol dire che la mia scatoletta funziona.”

Marcus era dubbioso, era difficile dare credito ad un tipo così strano, decise comunque di riprendere l’affermazione dell’esordio e nel frattempo vedere se arrivava la polizia.

“Che casino è venuto fuori? E che c’entro io? E come fai a sapere il mio nome?”

“Sappiamo molte cose di te.” millantò Ludovico portando il discorso sulla affermazione che sapeva avrebbe impressionato il suo astante “Come avrai intuito sappiamo anche dove abiti.”

“Cosa volete da me?”

“Non correre. Intanto stamani qualcuno ha sbagliato qualcosa e la polizia si è accorta di essere spiata da una società al servizio di qualche potere oscuro. Subito ha presentato un esposto al primo ministro che a sua volta si è rivolto all’esercito che ha risposto con una nota indignata per l’insinuazione, al che la polizia ha schierato una compagnia di uomini e robot-poliziotto davanti al ministero delle forze armate e l’esercito in risposta ha messo i suoi veicoli blindati davanti alla sede della polizia. Ti basta? Se non ti bastasse, sappi che sia la polizia che l’esercito hanno iniziato a sobillare la gente con discorsi del tipo: non vi fidate di loro, i veri custodi del benessere popolare siamo noi!”

Marcus realizzò la portata della dimenticanza della mattina; come un piccolo sasso che nella sua caduta lungo una pendice urta altri sassi che a loro volta iniziano a rotolare e provocano una frana fragorosa, il suo errore aveva dato il via ad un’escalation di accuse reciproche e di minacce a lungo represse.

“Tu conosci molte cose del sistema impiegato dal governo” proseguì Ludovico “magari non ne conosci l’importanza; il tuo aiuto sarebbe fondamentale per liberare il mondo da questa cappa opprimente.” Quelle parole roboanti non impressionarono più di tanto Marcus, sommerso dagli eventi scaturiti in un giorno iniziato come tanti altri e impegnato a pensare alla sua situazione piuttosto che agli eventi esterni.

“Io ho la mia casa, non mi manca niente, voi invece che garanzie mi offrite?”

“Poche garanzie, la nostra vita è pericolosa, dobbiamo muoverci, nasconderci, dobbiamo sempre studiare cose nuove per non essere individuati e dobbiamo correre dei rischi per compiere azioni di sabotaggio; però tu non credere di essere al sicuro in casa tua: quando metteranno in fila tutti gli elementi e capiranno quello che è successo, potresti essere un valido capro espiatorio per tutti i tuoi superiori.”

Marcus diffidava del tipo che gli sedeva davanti, avvertiva che le sue parole miravano allo scopo di portarlo dalla sua parte, tuttavia era simpatico e l’idea di cambiare vita lo solleticava. Dentro di sé volgeva lo sguardo indietro nella speranza di ritrovare le certezze della sua routine, ma qualcosa gli imponeva di guardare avanti e pensò che se non era ancora arrivata la polizia voleva dire che il tipo non era poi così matto. Cercò di prendere tempo:

“Devo pensarci. Caso mai cosa dovrei fare?”

“Non hai molto tempo per pensarci, senz’altro non tornare in ufficio. Se vuoi venire con noi recati domani mattina alle 8:30 alla stazione della metropolitana; in fondo al marciapiede direzione centro c’è una piccola porta di servizio che non sarà bloccata per pochi minuti, devi essere puntuale!”

“E se venissi con la polizia? Vi farei scoprire e passerebbero sopra il mio problema!”

“La polizia non credo sia tanto ben disposta verso di te, comunque è un rischio che corriamo, come adesso io sto correndo dei rischi a parlare con te e anche tu a parlare con me. Il barman coda-di-cavallo è da un po’ che ci osserva.”

Dopo questa frase inquietante, Ludovico si alzò e uscì con passo veloce.

Marcus si alzò, pagò e tornò a casa con i pensieri che dardeggiavano in ogni direzione. Una volta rientrato si sforzò di apparire normale, cenò come sempre e si sedette sul divano fingendo di leggere un romanzo col suo e-book reader. Si sentiva in una barca sballottata dalle onde e non riusciva a vedere una terra sicura verso cui provare a cambiare rotta. Andò a letto conscio che non avrebbe preso sonno, ma intuiva che minuscoli occhi lo stavano scrutando e fece finta di addormentarsi chiudendo gli occhi, assumendo un respiro regolare e rilassandosi fino a quando si addormentò veramente.

Quando si svegliò era ancora notte e subito si riaccesero i pensieri che per un po’ avevano indugiato sotto la cenere. Non era mai stato un grande decisionista e anche adesso non sapeva cosa fare: la possibilità di cambiare vita lo attraeva e al tempo stesso la sentiva come un passo che non sarebbe stato in grado di compiere. Rimase a lungo sotto la doccia cercando di canticchiare, si vestì e uscì di casa alle 7:30 avviandosi verso la stazione della metropolitana. Era ancora abbastanza presto per l’ipotetico appuntamento e si guardò intorno alla ricerca di qualche motivo per perdere tempo. Guardare le vetrine dei negozi non era più possibile da quando i commercianti si erano convertiti allo shop online; la sua attenzione fu attratta dalle prime foglie verdi sui rami degli alberi e la visione dei teneri germogli lo distolse dalle angosce che lo attanagliavano e dalla decisione che avrebbe dovuto prendere a breve.

Lungo la scala della metropolitana avvertì il tum tum del cuore che gli ricordava la necessità di scegliere una via, guardò l’orologio e si accorse che era quasi tardi per l’appuntamento, ma non si affrettò e pensò che nell’attesa del prossimo treno avrebbe capito cosa fare. Arrivò sul marciapiede e si incamminò verso il fondo quando vide la porticina semi-mimetizzata ma con un evidente cartello “Divieto di accesso”. Lo colse il dubbio che sarebbe stato nei guai se la porta non fosse stata aperta, senz’altro qualcuno avrebbe notato il suo tentativo di aprirla e la sicurezza sarebbe arrivata in un battibaleno. Anche di quel Ludovico poteva fidarsi? Magari era un poliziotto che lo stava mettendo alla prova e quella ridicola scatoletta che spacciava per congegno tecnologico era uno specchio per le allodole.

Mentre constatava che la nebbia non si diradava e non avrebbe visto il chiaro cammino da percorrere arrivò il treno che spalancò le porte. Marcus lasciò sfilare le altre persone e si accodò per salire sul convoglio, ma all’ultimo momento cambiò direzione e con un gesto deciso spinse la porticina che si aprì senza sforzo. Subito una mano lo prese e lo trascinò dentro al buio richiudendo veloce la porta. Una voce tagliente lo apostrofò:

“Ma che fai? Perché hai aspettato tanto? E’ pericoloso anche per me! Sarei dovuta andare via già da un pezzo.”

Senza aspettare risposta la donna accese una luce sul casco e lo trascinò di corsa lungo il corridoio. Corsero per un bel po’ incrociando altri corridoi, alcuni scarsamente illuminati e altri per niente, attraversarono un paio di passaggi angusti in cui dovettero rallentare e camminare uno dietro all’altra.

Piano piano l’adrenalina iniziale stava diminuendo e il passo si fece più tranquillo; Marcus si chiedeva come faceva la sua guida ad orientarsi in quel dedalo di corridoi, passaggi, incroci, scalette, viuzze che dovevano essere pezzi di linee di metropolitana in disuso e corridoi di servizio, poi notò che la donna portava occhiali a realtà aumentata e quasi si ricrebbe sull’utilità di quell’apparecchio. Il mondo che stava scoprendo lo meravigliava e le domande si sovrapponevano le une alle altre in un vortice che non riusciva a sgorgare dalle sue corde vocali.

Camminarono a lungo attraversando anche dei vecchi cancelli di ferro con serrature e alla fine arrivarono in una grande stanza ben illuminata dove Marcus intravide alcune persone dedite a delle attività dietro pareti di uffici open-space; tra esse gli sembrò di scorgere il barbone del giorno precedente: non aveva la barba incolta e i vestiti laceri, ma avrebbe giurato che fosse lui.

La sua guida gli spiegò che dovevano andare da Ludovico per annunciargli che era andato tutto bene, lui gli avrebbe parlato di quello che lo aspettava.

Entrarono in una stanza dove, dietro una scrivania, sedeva l’uomo della sera prima e Marcus fu contento di rivedere una faccia conosciuta, anche se solo da poche ore.

Ludovico aprì il suo viso ad un largo sorriso ed esclamò:

“Benvenuto, mi fa piacere vedere che hai deciso di unirti a noi. Penso che sia stata una decisione molto sofferta: perdere gli agi di cui godevi e la reputazione che ti eri costruito per andare incontro ad una vita con molti pericoli e incertezze non deve essere stato facile.”

Il pensiero della sua tranquillità perduta lo attanagliò alla gola e si chiese se non aveva fatto male a dare fiducia ad uno sconosciuto basandosi, si rendeva conto, solo sul suo istinto, dato che dai ragionamenti non era venuto a capo di niente. Come per porre rimedio alla sua leggerezza cercò di mettere una distanza tra lui e l’interlocutore: “Chi ti dice che non vi stia tradendo e stia portando qui la polizia?”

Ludovico non si rabbuiò, ma rispose con tono pacato:

“Nessuno, io mi fido di te e come ti avevo detto dobbiamo rischiare per ottenere qualcosa; comunque qualche precauzione l’abbiamo presa.”

“Quali precauzioni? Cosa vuoi dire?”

“Capirai, stando qui capirai. Ma non ti preoccupare di questo ora, sappi che le tue conoscenze sul lavoro che svolgi saranno molto utili.”

“Come fai a conoscere il mio lavoro? E di quali conoscenze parli?”

“Non ti angustiare, intanto mettiti tranquillo, siediti e leggi qualcosa di quella libreria laggiù, io vado a chiamare una persona.”

Marcus si girò verso la parete di fondo e notò una vecchia libreria con libri cartacei; la bellezza di poter abbracciare con lo sguardo tutto quel vetusto contenitore lo rapì: il legno qua e là scheggiato degli scaffali, i libri con le loro copertine simili, ma non uguali, quelli più alti, quelli un po’ rovinati, quelli fuori posto. Era tutto così diverso dai cataloghi online che ti mostravano i loro titoli ben incolonnati e al tempo stesso ti davano l’impressione che qualcosa ti sfuggiva, che c’era sempre una pagina che non avevi ancora visto: di fronte a quella libreria invece si respirava un senso di completezza.

La sua attenzione fu attratta da un libro con una copertina piuttosto malridotta; trattava della tecnologia dei processori quantici e dei principi fisici dei computer ancora molto usati nelle applicazioni di intelligenza artificiale.

“Chissà quante persone lo hanno letto e quante altre lo hanno solo sfogliato, magari trovandolo poco interessante.”

Prese il libro e cominciò a sfogliarlo; la sensazione della carta sotto le dita era nuova e anche il rumore nel girare le pagine era vero, niente a che vedere con quella brutta imitazione che ne facevano gli e-book.

Marcus, immerso nella lettura, non si era accorto delle persone che nel frattempo erano entrate nella stanza, fino a quando una voce lo scosse dalla sua estasi:

“Ciao Marcus, benvenuto.”

Quella voce … Marcus si risvegliò e cercò nella sua memoria quei suoni. Di colpo molti pezzi del puzzle andarono a posto da soli, si girò e vide di fronte a sé Antonella.

Vuoi ricevere aggiornamenti?

Lascia la tua E-Mail per rimanere aggiornato sui nuovi contenuti.

Iscriviti
Notificami
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti