Il mago volse le spalle all’incantevole creatura, così fragile all’apparenza eppure con un fascino così potente che avrebbe steso a terra il più coriaceo dei Troll, o almeno questo pensava Silvestro cercando di non distrarsi ancora una volta dal suo compito, e lesse, con voce ora resa più sicura dal successo ottenuto con il primo indovinello:
“Va nell’acqua e non si bagna, batte nel muro e non si rompe, passa tra le spine e non si buca, entra in casa senza chiave, va in prigione ma non ci resta. Cos’è?” Poi si volse verso la fata cercando di non sorridere troppo, tanto che nello sforzo le sue labbra si irrigidirono e Selene, non riuscendo ad interpretare la sua espressione, chiese con impazienza mista a paura: “Lo sai?”.
Silvestro non rispose subito per evitare di mettersi a ridere; fece cenno di sì con la testa e si avvicinò al suo orecchio, ma sul momento non riuscì a spiccicare parola perché sentiva che come apriva bocca non sarebbe riuscito a trattenersi. Con uno sforzo ricacciò indietro la risata, si sforzò di far assumere un’aria compunta alla sua faccia magra e, aiutato da un “Allora???” strillato da un’imbestialita Selene, le sussurrò: “E’ il raggio di sole”.
“Ti pareva che quelle carognette non andassero a scomodare anche il sole… – commentò lei – eh già, perché lo sanno che io col sole mi ci dico poco, io arrivo quando lui se n’è già andato e viceversa. Mica lo vedo mai! Ma tu sei sicuro, vero?” Silvestro represse un moto d’impazienza, mise a tacere quella vocina che sibilava “Sei una fata che non sai risolvere indovinelli da bambini, e non ti fidi neppure!” e, cercando di avere lo sguardo più innocente e dolce del mondo, rispose “Tra…tranquilla, sono si..sicuro”.
Selene allora ripeté l’indovinello, diede la risposta: come per il primo le lettere si staccarono dal muro e caddero giù, ma questa volta invece di rimbalzare i frammenti si appiccicarono gli uni agli altri fino a formare un grosso sole giallo che si alzò da terra e sparse i suoi raggi per la caverna, incrociando quelli argentei che emanavano dalla fata incatenata, per poi svanire pian piano.
Il mago ammirò stupito quell’unione di luna e sole, notando che sul viso pallido della prigioniera si era diffuso uno strano rossore, e le sue ali pur incatenate vibravano ritmicamente contro la parete. “Stai bene?” chiese preoccupato, mentre lei, recuperando allo sparire del sole la sua algida luminescenza, rispose con tono che cercò di far suonare leggero: “Certo, nei limiti della mia attuale situazione… Risolviamo il terzo e leviamoci da questo orrido posto!”
Il terzo enigma era composto da numeri e lettere: “In una stanza ci sono 7 bambini ed ognuno di loro ha 5 sacchi. In ogni sacco ci sono 7 gatte ed ognuna di loro ha 5 gattini. Quante gambe ci sono nella stanza?“ La fata sospirò rumorosamente mentre Silvestro leggeva l’indovinello a voce alta “Ma non è possibile, come si fa a fare un conto così complicato a memoria!” Poi vedendo l’espressione tranquilla del suo compagno chiese stupita “Lo sai? Ma che mago sei? Cioè voglio dire, vi specializzate anche in calcolo mnemonico? Non mi pareva che fosse tra le materie d’insegnamento.” Silvestro sospirò anche lui, altrettanto rumorosamente, e rispose: ”A parte che non sono ancora un mago, perché per dichiararmi ufficialmente mago serve la fata madrina che sei tu, e che infatti sono venuto a cercare – e qui la guardò con una scintilla di ironia in fondo all’azzurro dei suoi occhi – non è un calcolo complicato, perché, se ci fai caso, l’indovinello chiede solo il numero delle gambe , e le gambe sono solo quelle..” “Zitto!” – lo interruppe furiosa lei – “Devo dirlo io!” . “Ah già!” commentò il giovane, e ancora una volta le sussurrò la risposta all’orecchio. Selene ripeté l’enigma e la risposta, e per l’ultima volta lettere e numeri si staccarono dalla parete e crollarono a terra, questa volta tirando fuori minuscole zampette e correndo via lungo le pareti della grotta.
Silvestro non poté fare a meno di ridere, un po’ per lo spettacolo di quelle strane bestioline e molto per il sollievo della prova riuscita, mentre le cinghie che tenevano bloccata la sua madrina si staccavano e lei, afferrandolo saldamente per un braccio, lo sollevava con sé fuori dalla caverna, fuori dal labirinto, sempre più in alto, finché le mura grigie si confusero in mezzo al verde della foresta dei Mille incanti e già in lontananza loro si scorgeva il portale d’ingresso. Silvestro stava ancora ridendo quando si accorse che stavano per uscire dalla foresta e, ricordando improvvisamente quello che gli aveva detto Dan riguardo al tempo che doveva trascorrere prima che lui potesse uscire, gridò “Ferma, ferma!”. La fata lo guardò stupita, poi un lampo di comprensione le fece brillare gli occhi; si fermò a mezz’aria e disse tra sé: “Giusto, deve passare un anno…ma vedrai che ci manca poco.” e si guardò intorno come cercando qualcosa, che evidentemente trovò, perché con una spinta improvvisa delle ali, si diresse ad un altissimo pino e si sedette su uno dei rami più alti, raccogliendo le ali dietro di sé e costringendo il suo compagno a rannicchiarsi tra lei e il tronco dell’albero per evitare di cadere.
Il mago non capiva perché si fosse fermata proprio lì, anche se qualcosa in quell’albero gli era familiare, finché sentì una voce raspare sopra di lui: “Ah, bravo! Ce l’hai fatta allora!”
Non ebbe bisogno di guardare per riconoscere il suo vecchio amico corvo, che intanto saltellava da un ramo all’altro fino ad arrivare davanti a Selene, chinando deferente la testolina “Bentornata, fata Selene! “- e aggiunse gracchiando più untuosamente che poté – “Sei splendida come sempre, il tempo passato là dentro non ti ha sciupata affatto.” La fata fece un sorriso divertito e chiese: “Grazie, corvo, ma dimmi: quanto tempo è passato da quando Silvestro è entrato nella foresta?” “Dunque vediamo: mi ricordo che stavo mangiando una larva di processionaria quando ci siamo incontrati e quindi doveva essere più o meno settembre, e ora – il corvo si guardò intorno e poi spiccò il volo verso un ramo più in là – ecco là, lo vedi? Il nuovo nido è pronto e giurerei che quasi sono pronte le nuove larve.” e fece un verso che se fosse stato un umano sarebbe stato un yumm! di soddisfazione. “Perciò – riprese – è passato un anno, giorno più, giorno meno.” “Dobbiamo essere precisi – sentenziò Selene – un giorno meno basta a polverizzare questa povera creatura quando passa il portale.” Silvestro non credeva ai suoi orecchi: un anno? Ma se, tra la sua entrata rovinosa in mezzo al flipper, l’incontro col corvo, poi il viaggio con Dan, poi l’avventura nel labirinto, secondo lui era passata forse una settimana al massimo… La fata vide la sua espressione stupita e ripeté quello che gli aveva detto Baltasar il mattino dopo il suo arrivo a Settestreghe: “Nel labirinto il tempo scorre molto più veloce, Silvestro. Aspetterai un po’, e alla prima larva che esce dal nido potrai passare.”
“Come sarebbe ‘potrò passare’? E tu?” chiese il mago. “Io mi avvio, a Settestreghe saranno nel caos per la mia assenza, e poi francamente non ne posso più di questo nido di vipere. D’ora in poi al Consiglio delle fate ci manderò un rappresentante, a me non mi ci beccano più!” Il giovane si provò ad obiettare qualcosa, ma la madrina si era già alzata in volo gridandogli “Non ti preoccupare! Il corvo ti guiderà al portale!” e sparì.
Così Silvestro passò ancora due giorni appollaiato sul pino, dopo essersi costruito con l’aiuto di Gilda un riparo più o meno confortevole e mangiando…arance. Alla prima larva che sbucò dal nido il buon corvo gracchiò rumorosamente: “Ci siamo!” Si tuffò verso la larva che ingoiò in un sol boccone, poi guardò verso il mago e “Seguimi!” gli urlò mentre si lanciava da un albero all’altro. Dopo un attimo di esitazione il giovane si ricordò gli esercizi di spostamento e senza sforzo lo seguì fino al grande portale di granito che si stagliava solitario in mezzo ad un prato, alla fine del bosco.
L’uccello si posò sulla pietra che lo coronava , e chinando il capo verso di lui disse con la sua voce rugginosa “Arrivederci. E’ stato un piacere”.
Silvestro non ebbe nemmeno il tempo di ringraziarlo che era già scomparso. Si guardò indietro, poi guardò il portale vedendosi già trasformato in segatura di mago, se per caso il corvo si era sbagliato… ma l’incertezza durò solo un attimo, risoluto attraversò l’arco di pietra, finendo tra le braccia vigorose del vecchio Baltasar.
Henry Potter, poteva essere scritto benissimo anche a Maggiano