L’orologio arancione
di Concetta Mirabella
Una mattina si svegliò di buon umore. Il sole filtrava attraverso le persiane, era una limpida e caldissima giornata di dicembre ed un impulso irrefrenabile la spinse a concedersi una giornata tutta per sé, ripercorrendo all’indietro quarant’anni.
Si preparò in un lampo e si diresse verso la stazione per recarsi in un luogo magico per la sua vita: l’università… era emozionata come il primo giorno.
Prese il treno che percorreva ancora il primo tratto della prima ferrovia italiana, dove circa duecento anni fa i convogli a vapore frusciavano di sete impalpabili, conducendo i nobili alla reggia estiva dei Borboni a Portici.
Dove, quattro decenni fa, i treni elettrici affollati di jeans e maglioni trasportavano verso quel prestigioso palazzo gli studenti della facoltà di Scienze Agrarie.
Scese alla fermata del Granatello e a passi lenti, in quel dicembre primaverile, assaporò ogni attimo, la stazione sul porto, le barche dei pescatori, i gabbiani nel cielo azzurro.
Tremante si diresse verso gli archi aperti sul Miglio d’oro, la strada delle Calabrie, dove si ergeva maestosa la magnifica reggia.
Trattenne il respiro per l’emozione!
Salì il regale scalone di marmo, riccamente affrescato, e si rivide: un filo esile, coperta da un manto di lunghi capelli neri.
Esitante, si apprestò a varcare l’entrata del primo salone per cercare l’ aula di chimica, una porta a scomparsa nel muro perfettamente inserita nei grandissimi affreschi.
La spinse timidamente e rivide tutti: se stessa e i suoi amici. Gli occhi le si riempirono di lacrime quarant’anni dopo…Ascoltò distrattamente il professore mentre spiegava il ph acido, un suono familiare per le ore trascorse in quell’aula tra chimica e biochimica e il laboratorio al secondo piano. A diciannove anni era completamente immersa in sali, acidi, ossidoriduzione, carbonio organico, Dna.
Con la sua fantasia diventava molecola di ossigeno, scivolava con la tavola da surf nel circolo sanguigno e continuava ad immaginare tutti quanti immersi in un’enorme campana di vetro: l’atmosfera, in un continuo scambio tra ossigeno e anidride carbonica. E tutti immensamente piccoli nell’universo, diretti nella sinfonia della vita da minuscoli, invisibili atomi.
Si era persa per anni in queste fantasticherie, ancora oggi per lei un articolo scientifico era pari al suono di una poesia.
Esitante, tanti anni dopo, percorse quegli altissimi corridoi, quasi temuti per le troppe emozioni, esplosive come il vicino Vesuvio.
Arrivò all’aula di fronte alla magnifica biblioteca e là si dovette sostenere, appoggiandosi al muro. Rivide gli stessi occhi pieni di speranza degli studenti di tanto tempo prima, occhi intenti a studiare, che la guardarono come un reperto archeologico arrivato dai vicini scavi di Ercolano.
L’enorme porta finestra si apriva sul grandissimo terrazzo, da lontano vide la minuscola aula del collettivo sempre là, come se fosse ancora in attesa di voci, sorrisi e facce da “veri duri”, che tanti anni prima volevano cambiare il mondo! Lei si inoltrò pian piano, quasi per non calpestare le forti emozioni di quel momento o i ricordi di tanti anni. Camminò verso il terrazzo e accarezzò le mura di quella minuscola stanza riempita per ore da sogni di rivoluzione.
Entrò.
Il cuore sembrò che le scoppiasse e pianse: la grande sconfitta, il grande tradimento.
Il mondo era diventato esattamente quello che volevano cambiare e sconfiggere quarant’anni prima, con delle munizioni molto deboli: gli Ideali, i Sogni !
Si rivide, li rivide, tremolanti tra le lacrime dei suoi occhi.
E in un lento dejavu’…
Rivisse quel momento.
Lo sguardo di lui fu catturato dall’orologio arancione, insolito per quegli anni, un banalissimo orologio di plastica, sorpresa dell’uovo di Pasqua.
Un’aria di rinascita come a primavera, anche se era un dicembre caldissimo, esplodeva sul terrazzo della reggia, e lei credeva in quella rinascita. In quella stanza, contro l’ennesima riforma scolastica, contro l’ennesima distruzione della scuola pubblica, si riuniva il collettivo di tutte le facoltà, preparavano un documento comune con tutte le realtà scolastiche: scuole superiori e università.
Lui, la sera precedente, aveva suonato col suo gruppo alla mensa dell’università, avevano scambiato due parole. Il giorno successivo era al collettivo, veniva da un’altra facoltà.
Pantaloni strappati alle ginocchia, il finto povero antelitteram? No, semplicemente moda londinese di quegli anni.
Le chiese: ” Ti piace il mio pantalone?”
Lei rispose :” Originale.”
Lui: ” Mai quanto il tuo orologio arancione”
Risero insieme.
Lei pensò: ” Ricco figlio di papà, che finge di essere povero”…
Lei ricordò quel primo incontro e desiderò che tutto fosse finito in quel momento.
Eppure non poteva dimenticare che grazie a lui aveva conosciuto la sua passione.
Dopo il primo bacio sul marciapiede della stazione, sul porticciolo incantato di pescatori, in una splendida sera, lui le chiese : ” Hai mai letto Calvino?” porgendole tra le mani “Il sentiero dei nidi di ragno “.
Nacque allora il suo amore infinito per Italo Calvino. Ecco cosa salverebbe della sua storia con lui, quell’attimo.
Ricordò il dialogo tra Kim e Ferriera. “…Poi c’è qualche intellettuale o studente, ma pochi, qua e là, con delle idee in testa, vaghe e spesso storte. Hanno una patria fatta di parole, o tutt’al più di qualche libro. Ma combattendo, troveranno che le parole non hanno più nessun significato, e scopriranno nuove cose nella lotta degli uomini e combatteranno così senza farsi domande, finché non cercheranno delle nuove parole e ritroveranno le antiche, ma cambiate, con significati insospettati.”
Per lei queste parole potevano bastare per dare valore al loro incontro. Non riusciva a definirla storia d’amore, nella sua metaforizzazione della vita l’Amore era eterno!
Non era stato eterno.
Su quel treno che la riportava indietro verso casa, ripensò alle ricche risate a crepapelle e agli occhi pieni di sogni, mentre il sole pian piano spariva dietro le nuvole, un lento grigiore opacizzava tutta l’aria rendendola gelatinosa, e gli occhi le si riempivano di nuovo di lacrime.
Completamente immersa nel suo fallimento, non sentì la voce che da qualche secondo ripeteva: ” Biglietto, biglietto” come il suono metallico di un robot.
Alzò gli occhi verso il controllore, imbarazzata; si sentì in colpa, come se fosse stata scoperta nell’intimità più profonda, come se si fosse spogliata di fronte ad un estraneo. Istintivamente si chiuse il cappotto, si passò una mano tra i capelli tinti e fissò lo sguardo del bigliettaio, come per scoprire se lui l’avesse vista nuda oppure no.
E il controllore, mentre si aggiustava il nodo della cravatta, sembrava appena uscito dalla sua camera da letto, i loro sguardi quasi intimi ormai, mentre la voce in sottofondo continuava: ” Biglietto, biglietto”. Con la mano lui toccava continuamente il nodo, poi fermandosi le rivolse un sorriso, riconoscendola tra le abbondanti rughe: ” Pocahontas!”.
Le si arrestò il cuore per un attimo, riconoscendo un suo caro amico di tanto tempo prima :
” Simpadol!”. Erano i nomignoli che usavano allora.
Si abbracciarono e in quell’abbraccio profondo si scambiarono quarant’anni della loro vita e numeri di telefono che non avrebbero mai utilizzato.
Con ancora nel cuore il calore di quell’incontro lei aprì la porta di casa, i bambini erano là con la nonna paterna, come sempre.
Lui non c’era mai, ma proprio mai!
Una stretta allo stomaco fu l’unico segnale che non riuscì a mettere a tacere, mentre il suo sorriso dichiarava che tutto filava liscio. Crollò sul divano priva di forze, priva di qualsiasi voglia di vivere, tutte le energie ormai consumate.
Mentre guardava i suoi meravigliosi figli, vide sul braccio della figlia l’orologio arancione di tanti anni fa. Sorrise tristemente…e “Ti con zero” di Italo Calvino le venne incontro.
” Un innamorato sale in macchina e sull’autostrada percorre nella notte, sotto la pioggia, chilometri in direzione di B, dove abita l’amata Y e dopo vari pensieri sulla possibilità che anche lei sia sulla stessa autostrada in direzione opposta per raggiungere lui, verso A… inizia a pensare: Continueremo a scorrere avanti e indietro lungo queste linee bianche, senza luoghi di partenza o di arrivo che incombono gremiti di sensazioni e significati sulla univocità della nostra corsa…ridotti a segnali luminosi… certo il costo da pagare è alto ma dobbiamo accettarlo: non poterci distinguere dai tanti segnali che passano per questa via, ognuno con un suo significato che resta nascosto e indecifrabile perché fuori di qui non c’è più nessuno capace di riceverci e d’ intenderci.”
Ormai lei si sentiva immersa nelle sabbie mobili, si trascinava nella vita come un blocco di marmo. Solo il mare e la lettura le davano un po’ di ristoro.
Mentre percorreva il lungomare in un giorno di primavera, per andare alla città della scienza, pensò alla luna, alla leggerezza in assenza di gravità e giunse all’ incontro con Guidoni, l’astronauta italiano che incontrava i bambini della scuola della figlia.
Si emozionò nel vedere tutti quegli occhi desiderosi di volare sulla luna, e ad un certo punto vide la mano di sua figlia alzarsi per fare una domanda e a quel piccolo polso ancora l’orologio arancione.
Le sembrò un segnale, quasi come se la figlia inconsciamente sapesse che era nata da quell’amore. In quel preciso momento senti tutta la pesantezza del suo corpo.
Sentì di essere diventata la statua di se stessa.
Le vennero in aiuto le parole di Calvino in “Lezioni americane”.
“In certi momenti mi sembrava che il mondo stesse diventando tutto di pietra: una lenta pietrificazione più o meno avanzata a seconda delle persone e dei luoghi, ma che non risparmiava nessun aspetto della vita. Era come se nessuno potesse sfuggire allo sguardo inesorabile della Medusa…. Per tagliare la testa alla Medusa, senza lasciarsi pietrificare, Perseo si sostiene su ciò che vi è di più leggero, i venti e le nuvole; e spinge il suo sguardo su ciò che può rivelarglisi solo in una visione indiretta, un’ immagine catturata da uno specchio.”
In un sogno ad occhi aperti lei sentì ai suoi piedi sandali alati e, per liberarsi dalla Medusa che l’aveva trasformata nella statua di se stessa, si sostenne ai venti e alle nuvole, attraverso uno specchio la sconfisse, sciogliendo la roccia che le aveva chiuso il cuore.
Volò su Pegaso, nato dal sangue della Gorgona.
Bevve alla fonte delle Muse, creata dal colpo di zoccolo del cavallo alato. Si adornò di coralli, creati dai ramoscelli marini, su cui Perseo aveva adagiato la testa mostruosa, per non sciuparla.
E leggera, libera sentì di poter volare verso un orizzonte chiaro.