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Arancio – quindicesimo episodio – Dubbi

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I giorni successivi furono abbastanza frenetici. Ormai la decisione era presa, e Silvestro si consultò con Baltasar, spiegandogli cosa prevedeva la formula. Mentre parlava concentrato e serio, con gli occhi fissi sulla ciotola di arance al centro del tavolo quasi a trarne l’energia necessaria, con le spalle incurvate e le mani strette sulla spalliera della sedia su cui, nonostante l’invito del suo maestro, non si era voluto sedere, il mago anziano lo guardava sorridendo. Quando il più giovane ebbe finito, alzò finalmente gli occhi a guardare il sorriso comprensivo e gli occhi affettuosi dell’altro; lasciò andare la sedia e finalmente si gettò tra le sue braccia. Baltasar aspettò che si fosse calmato, lo invitò nuovamente a sedersi, e questa volta Silvestro obbedì con un sospirone.

Perché, ca-capisci, Balta, Ba -baltasar, – si corresse confuso l’allievo – no-non è che mi preoccupo ta-tanto per tutte quelle co-cose da fare o trovare, anche se non so proprio co-come farò ma – e qui levò il suo azzurro sguardo fiducioso sul vecchio – lo so che col tuo aiuto ce la fa- farò, quello che mi pre-preoccupa è il do-dopo.”

“Cioè?” – chiese Baltasar. “Ecco, è…co-come farò io con una cre-creatura co-così che non è nemmeno totalmente umana e già avevo problemi con le ragazze terrestri, figuriamoci con una ma-magica, che poi non so nemmeno cosa mangia, se dorme in piedi o sdraiata o magari per aria, e se mi capisce quando la guardo, se non scompare all’improvviso e mi lascia lì come un ba-babbeo, e poi … se mi vuole, a me.”

“Allora è questo il problema, alla fine, vero? Se ti vorrà, lei così ‘magica’, a te che sei solo un povero inutile… mago?” e Baltasar scoppiò a ridere, con grande irritazione di Silvestro che, con la testa ora china sul petto e l’aria imbronciata, già si vergognava di essersi aperto con lui, e proprio non aveva voglia di essere preso in giro.

Il vecchio mago se ne accorse, ingoiò l’ultimo sussulto di risa che gli faceva tremare la lunga barba bianca, accostò una sedia alla sua e si sedette, prendendogli le mani nelle sue. “Silvestro, tu sei un mago. Vero e potente. Credevo che dopo la tua gloriosa impresa nella Foresta dei Mille Incanti ormai ne fossi convinto. Non è più tempo di essere timidi. Questa compagna, che tu creerai con dedizione, fatica e tanto, tanto amore..” e qui Silvestro annuì più volte con decisione, rialzando lo sguardo “Questa compagna, dicevo, sarà né più né meno che una donna normale. Nata per mezzo di magia, è vero, ma dalla tua magia e soprattutto dal tuo amore: stai sicuro che Selene non ti avrebbe dato la pergamena se non fosse stata sicura che tu l’avresti amata e onorata. Starà a te farti amare da lei, con gli stessi mezzi di qualsiasi uomo o donna o mago che voglia tenere in vita il proprio amore. Dovrai farti conoscere ed imparare a conoscerla, con pazienza e buona volontà, ma senza pregiudizi e senza farle mancare la dolcezza e l’affetto. E stai sicuro che per quanto gliene darai, altrettanto ne riceverai. “

A queste parole Silvestro sentì il petto riempirglisi di qualcosa di leggero e brillante e scoppiettante, che premeva per uscire fuori, e infatti rise, prima piano, poi sempre più forte, e mentre rideva lasciava che dai suoi occhi scendessero lacrime di consolazione e sollievo. Poi si asciugò gli occhi con un lembo dell’ampia manica, sorrise al suo maestro e si alzò risoluto dicendo. “Da dove cominciamo? Dal pentolone, immagino.”

Così iniziò la lunga preparazione.

Phaestus, il gigantesco e barbuto fabbro del paese confinante, da cui l’aveva portato Baltasar, non si stupì per niente quando Silvestro gli espose la sua richiesta, chiedendogli solo ‘quanto la voleva alta più o meno’, al che il giovane si rese conto che ormai la sua storia era di dominio pubblico, addirittura fuori da Settestreghe!, anche se gli rimase sempre il dubbio su chi dei due che la conoscevano l’avesse diffusa, se Baltasar o la stessa Selene. Ma, forte della sua ritrovata fiducia in se stesso, spiegò al fabbro che non doveva essere più alta di lui, se no l’avrebbe messo in soggezione, ma non troppo piccola, perché voleva che potesse fare senza troppo sforzo tutto ciò che amava fare lui… se ne avesse avuto voglia…aggiunse poi dopo un attimo di ripensamento.

Il pentolone sarebbe stato pronto di lì a tre settimane, assicurò il fabbro. Ma intanto lui doveva procurarsi l’arnese più complicato, il mestolo ricavato dal legno di una quercia bruciata da un fulmine. Anche il suo maestro, quando gliene aveva parlato, gli aveva confermato che effettivamente temporali con fulmini tali da bruciare gli alberi in zona non ce n’erano stati negli ultimi decenni, ma gli sembrava di ricordare che quando lui, Baltasar, era un ragazzino – si parla di un paio di secoli fa, capisci? – ci fosse stato un evento climatico molto importante, con un grande incendio, che era arrivato a lambire la Foresta dei Mille Incanti e addirittura aveva fatto temere la sua scomparsa.

“Ma, Balta – replicò Silvestro – gli alberi bruciati all’epoca ormai saranno ridotti a segatura e humus, non credi? Come faccio a trovare una quercia ancora in piedi?”

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