“Sì, hai ragione, ma ricordati che parliamo della Foresta dei Mille Incanti: lì ci stanno le fate. Mio padre mi raccontò che furono loro, all’epoca, a proteggere gli alberi, e può darsi che qualcuno al bordo, sul confine, gli sia sfuggito di mano. Poi quando la protezione è arrivata anche lì, l’albero potrebbe essere rimasto ‘congelato’ – si fa per dire – com’era, cioè mezzo bruciato. Bisognerebbe chiedere a qualcuno di lì. Tu hai conosciuto qualche abitante della Foresta quando ci sei stato? Alle fate, ti ricordi, non possiamo chiedere. Non ci possono vedere.”
Silvestro si ripeté – perché se l’era già chiesto più volte durante e dopo la sua avventura alla ricerca di Selene – per quale motivo le fate ce l’avessero con Settestreghe, ma rimandò la domanda ad un altro momento e rispose: “Beh sì, ma in realtà, solo due: un corvo parlante e Dan, un elfo che mi ha aiutato ad arrivare al labirinto. Però non saprei come rintracciarli da qui, non ho niente di loro con me per mettermi in contatto. “ “Almeno credo – riprese- però posso guardare nella vecchia veste, non l’ho più messa da allora, magari nelle tasche…”
Ed effettivamente, non in una delle tasche ma in uno strappo dell’orlo, trovò impigliata una piccola piuma nera. Fu tale il suo entusiasmo che rischiò di perderla buttandola per aria dalla contentezza: la penna si depositò leggera sui piumoni invernali stipati nell’armadio, che perdevano sempre un po’ d’imbottitura, e Silvestro si ritrovò per le mani non una ma dieci o undici piume, di cui diverse nere.
Lo aiutò la sua capacità di visualizzare ad occhi chiusi i proprietari delle cose che toccava: e dopo quattro o cinque anatre, finalmente l’immagine del suo amico corvo si stagliò chiara nella sua mente. Allora, stringendo con forza la piuma tra le dita, si sedette sul suo letto e sempre tenendo gli occhi chiusi cercò un contatto con lui.
Ma l’immagine nella sua mente restava ferma, nonostante la sua concentrazione, oltretutto messa in pericolo da un antipatico becchettìo sul suo braccio che lo costrinse ad aprire gli occhi sbuffando, e ritrovandosi davanti proprio il corvo, che gracchiò: “Ce n’è voluto per svegliarti!” “Ma …ma io…ma tu – cincischiò Silvestro – ti stavo chiamando mentalmente e tu non rispondevi…” “Sì, lo so – bofonchiò l’uccello – ho sentito che mi chiamavi e ho preferito venire di persona. A me questi sistemi telematici, telepatici, insomma quella roba lì non mi riesce tanto bene.”
Una volta che gli ebbe spiegata la sua richiesta, il corvo rimase un po’ in silenzio, frugandosi col becco sotto un’ala, poi rialzò il capo nero, lo fissò con gli occhi brillanti e disse: “Non avresti qualcosa da mangiare? Sono partito di corsa e non ho fatto colazione. Va bene tutto, un vermetto, due larve, qualche mosca.” Silvestro, che aspettava ansioso la risposta alla sua domanda, emise un sospiro crollando le spalle. “No, sai, mi spiace, ma quella roba lì noi non la mangiamo. Anzi, se Rosmilda ne vede uno in giro, lo incenerisce subito.” “Chi è Rosmilda? La tua fata? No, quella si chiama con un nome lunare, vero?” “Sì, sì, la fata madrina è Selene. No, Rosmilda è la padrona di casa qui, ed è una cuoca meravigliosa, fa delle ciambelle che fanno risuscitare i morti…senza magia, senti il profumino? Ce ne devono essere in cucina di pronte, ma vermi proprio…” e qui Silvestro si fermò, perché il corvo era volato via verso la cucina. Stupito, si alzò e lo raggiunse in tempo per vederlo beccare a quattro palmenti (chissà se si può dire per un corvo) una delle ciambelle di fronte ad una esterrefatta Rosmilda e gracchiando a becco pieno “ Amico.. Silvestro, buona! Proprio buona. No fatto colazione, scusa, sai”. Silvestro spiegò la situazione alla cuoca, che si mise a ridere, porse anche a lui una ciambella e rispose cordiale all’uccello “Tutti gli amici di Silvestro sono benvenuti qui. Ne vuoi un’altra?”
Quando ebbe finito di far colazione con due ciambelle intere – il corvo aveva spiegato che anche se non era proprio il tipo di cose che mangiava lui, occasionalmente un ‘artefatto’ ogni tanto ( come chiamava lui i cibi cucinati ) poteva mangiarlo – il giovane incalzò nuovamente il suo amico. “Allora, hai mai visto una quercia bruciata o semibruciata dentro la foresta?” “Beh, veramente, sul confine non volo tanto spesso, non ricordo bene – prese tempo la bestiola mentre il suo occhietto nero seguiva con lo sguardo Rosmilda che riponeva le ciambelle nella credenza – ecco, così su due zampe non saprei dire, forse, ma devo guardare, ci vorrà tempo…” “Ah, meno male che ‘uno ogni tanto’ – sbottò Silvestro, e poi rivolgendosi alla padrona di casa – “Rosmilda, abbi pazienza, regalagliene un’altra, se no facciamo notte qua!” E dopo la terza ciambella, finalmente, il corvo ammise di conoscere la zona dove era arrivato l’incendio secoli prima, anche se io all’epoca non ero nemmeno nell’uovo, specificò, anzi nemmeno la mia mamma e la sua.. ma poi incrociò lo sguardo del mago e gracchiò un definitivo: “So dov’è. Ti ci posso accompagnare, però ricordati che se entri nella Foresta poi hai il problema di uscirne.”
Già. Doveva passare un anno. E anche se un anno fuori poteva ridursi a qualche giorno nella foresta, a Settestreghe le cose sarebbero andate avanti intanto, e il pentolone si sarebbe ossidato e magari Phaestus non vedendolo tornare l’avrebbe dato a qualcun altro, e la costruzione della sua casa sarebbe proseguita senza di lui che invece voleva sorvegliare tutti i lavori, e poi, ormai che aveva preso la decisione, voleva fare più in fretta possibile. Per un attimo si sentì smarrito, poi un barlume di soluzione gli si parò davanti. “Corvo, dall’esterno del bosco posso vederla la quercia? Posso seguirti costeggiando il confine senza entrare?” “Beh, immagino di sì, ma a quel che ho capito, devi tagliare un ramo… e per quello devi entrare. Mi spiace, ma io un’accetta non la posso usare!” “Tu no, ma Dan con qualche suo amico sì. Tu conosci Dan, l’elfo?”
“Dandledormitroppo vuoi dire? E chi non lo conosce?” “Una volta arrivati alla quercia, tu vai a cercarlo, gli spieghi la situazione e gli chiedi per cortesia di venire a tagliarmi un ramo. Poi me lo lancia di là dal confine e la cosa è fatta. Digli che gli porto altre arance magiche per ricompensa.”
Il corvo ci rimuginò su due o tre minuti ma alla fine parve convinto. Si stirò sulle zampette, scosse leggermente le ali, guardò Silvestro e fece “Allora, si va?”.