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Arancio – diciassettesimo episodio – La quercia

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A Silvestro bastarono pochi minuti per recuperare Gilda, spiegare a Rosmilda dove stava andando e chiederle di avvisare Balta che, le disse, era al corrente del motivo, uscire di corsa per poi tornare indietro, aprire la credenza e infilarsi in tasca 4 o 5 ciambelle “Per il corvo, sai, Ros, non si sa mai…” spiegò alla donna sempre correndo, mentre il suo stomaco cominciava a brontolare – era quasi ora di cena – e la donna sentendone il gorgoglìo, scoppiava a ridere dietro di lui.

Mentre cercava di tener dietro al corvo che volava di fronte a lui, il giovane mago realizzò anche mentalmente che era quasi ora di cena, quindi di lì a poco sarebbe stato buio, di certo non il momento migliore per mettersi alla ricerca di un albero sul bordo della Foresta dei Mille incanti, e tantomeno di Dan, che da buon mangiatore qual era, non si sarebbe facilmente scollato dalla tavola familiare per accorrere a aiutarlo… e di notte poi, con i possibili pericoli che avrebbe potuto incontrare. Ma Corvo era già avanti e non poteva udirlo, la piuma nera l’aveva lasciata in camera e non sapeva come farsi sentire da lui, e poi anche lui aveva voglia ormai di arrivare in fondo a quella storia. Così sempre correndo scrollò le spalle, si ricordò di Gilda che teneva stretta in pugno e puntandola davanti a sé esclamò: ‘Al portale della Foresta dei Mille Incanti!’ Questa volta la bacchetta si comportò egregiamente e l’attimo successivo Silvestro sedeva sull’architrave del portale, in attesa del suo amico pennuto che dopo pochi minuti posò le zampe accanto a lui. “Sai, Silvestro, mentre volavo ho notato che il sole è quasi calato… non è per tirarmi indietro, ma di notte io non ci vedo come di giorno. Forse era meglio aspettare domattina.” bofonchiò il corvo. “Sì, hai ragione, è venuto in mente anche a me, ma ora di tornare indietro non se ne parla. Troviamoci un riparo per la notte e domattina presto ci mettiamo all’opera.”

Il corvo propose di andare a casa sua, su quello stesso pino dove si erano incontrati, ma Silvestro scosse la testa. “A parte che, come sai, io non posso entrare se non voglio restare bloccato per un anno – gli disse – il tuo pino è piuttosto scomodo per me. Tu vai, io troverò qualcosa qui nei dintorni. Ci rivediamo qui domani all’alba…mi raccomando!” aggiunse poi con una punta d’ansia nella voce. Corvo scrollò le piume del collo con forza, alzò poi la sua testolina nera a guardarlo un po’ in tralice e gracchiò: “Sono un amico…o no? Tienimi una di quelle ciambelle per colazione.” e volò via.

Scendendo dall’architrave e avviandosi lungo il confine della foresta, il mago si chiese come aveva fatto l’uccello a capire che aveva le ciambelle in tasca, ma presto lasciò perdere per concentrarsi sulla ricerca di un riparo. I rami degli alberi che sporgevano oltre il bordo della Foresta erano così vicini e intricati da non far intravedere la possibilità di infilarsi sotto per avere riparo, e sul versante dove stava camminando lui si stendeva un prato immenso, completamente scoperto. Un po’ scoraggiato, Silvestro si chiese se potesse farsi aiutare da Gilda, ma non gli venne in mente una soluzione adatta: costruire dal nulla una capanna era possibile, ma le fate avrebbero potuta scorgerla dall’alto e magari mandare qualche animale inferocito a distruggerla (e di nuovo si chiese perché le fate fossero così rabbiose con quelli di Settestreghe), quindi doveva trovare qualcosa di già esistente. Stava già per ordinare alla bacchetta di riportarlo a casa, e già si vedeva di fronte il sorriso ironico che sarebbe spuntato tra i folti peli della barba del suo mentore, quando inciampò in qualcosa di duro e cadde in avanti… e in basso, sfondando un lieve strato di fogliame che copriva una grande buca. ‘Una trappola per i cinghiali!’ ebbe il tempo di pensare prima di atterrare a faccia in giù sulla dura terra e perdere i sensi. Fu la fedele Gilda, che gli era rimasta in pugno, a risvegliarlo vibrando vigorosamente: Silvestro si rialzò, si mise a sedere, si tastò la faccia e la testa trovando solo qualche escoriazione sul naso, che gli pulsava dolorosamente, e sulla fronte. Provò ad usare gambe e braccia e accertatosi che tutto funzionava, tirò un sospiro di sollievo, si mise in grembo la bacchetta e cercò di ripulirne dalla terra i fregi argentei con delicatezza, alla luce di un esile raggio lunare che chissà come riusciva ad infiltrarsi nella buca. “Grazie, Selene.” mormorò e poi scosse Gilda in aria coprendo la sua buca di nuovo, questa volta con un’impenetrabile coperchio che simulava rami e foglie. Il raggio lunare rimase ancora un po’ accanto a lui, finché ebbe sbocconcellato le sue ciambelle – lasciandone una per Corvo – e si fu sistemato in qualche modo nel fondo della buca. Selene lo avvolse in uno strato di aria calda come in un sacco a pelo, aspettò che i suoi occhi si chiudessero e dolcemente ritirò il suo raggio.

Al mattino, un po’ dolorante ma rinfrancato, il giovane ritornò al portale, dove trovò ad attenderlo il corvo. Prima che questi potesse aprire becco, con un sorriso un po’ storto a causa della caduta, si cavò di tasca l’ultima ciambella e gliela porse. Mentre mangiava gli raccontò la sua avventura notturna, poi si avviarono verso il posto dove poteva trovarsi la quercia semibruciata. Ci arrivarono dopo un paio d’ore, il corvo svolazzando avanti e indietro e fermandosi ogni tanto ad aspettarlo.

Quando ci furono sotto, Silvestro alzò lo sguardo sul tronco annerito, che levava le nude braccia al cielo come a chiedere pietà; si sedette di fronte e chiuse gli occhi. Nella sua mente si formò subito l’immagine di un albero vigoroso e verde, le cui fronde si agitavano leggere al vento del mattino, e a quello, anima della pianta che aveva davanti, chiese di poterlo privare di uno dei suoi rami. L’albero dietro i suoi occhi fremette, come pensando, poi crollò la cime in segno di sì, ma aggiunse un’altra immagine, piccola, che all’inizio Silvestro non riconobbe. Poi capì: era una ghianda, e la quercia gli stava chiedendo di interrare accanto al suo tronco ormai privo di vita una nuova piccola vita. Annuì vigorosamente, e riaprì gli occhi. “Corvo!” chiamò, e all’amico che gli volò accanto spiegò che la quercia gli avrebbe ceduto un ramo in cambio di una nuova pianta da far crescere al suo posto, così lui, il corvo, ora doveva cercare Dan, spiegargli tutto, e portarlo lì con un’accetta…e una ghianda bella e sana.

L’uccello guardò la quercia, poi il mago, poi la quercia, e spiccò il volo.

L’attesa non fu lunghissima; nel frattempo con l’aiuto di Gilda il giovane aveva fatto una bella raccolta di arance dall’aranceto in paese. Un paio se le era mangiate per colazione, sulle altre aveva praticato, per il suo amico elfo. la magia che le rendeva micidiali mezzi di difesa. Quando il sole era ormai alto nel cielo Silvestro sentì un familiare ‘Ehilà!’ e vide spuntare dalle frasche del sottobosco Dandledormitroppo, seguito da 5 o 6 altri elfi, tutti armati di accetta. Dan si precipitò ad abbracciarlo, e negli occhi di Silvestro spuntarono due lacrimucce di commozione che fece fatica a ricacciare indietro, mentre ricambiava l’abbraccio e poi salutava cordialmente tutta la brigata. “Sanno tutto, sai, Silvestro?” proruppe l’elfo “Ho raccontato tutta la nostra avventura, con lo sciame gigantesco di calabroni, la mandria di Troll, e quando tu sei stato così…- e qui si fermò arrossendo vedendo lo sguardo del mago – così sfortunato da addormentarti con la testa sopra una pianta di schemotipia, e gli ho detto del labirinto e delle arance…” E qui, nel vedere il mucchio di arance che Silvestro aveva preparato accanto a sé, il suo sorriso si allargò fino alle orecchie a punta: “Sono fantastiche! Il nostro villaggio è diventato un posto così sicuro che ci emigrano anche dagli altri villaggi vicini, e io ho addirittura trovato una…” La mano del mago si appoggiò con delicata fermezza sulla sua spalla, mentre con un tono tra l’affettuoso e l’ironico Silvestro diceva “Sono così contento anch’io di ritrovarti, Dan! Vi ringrazio moltissimo di essermi venuti in aiuto. Sai cosa vorrei che faceste, vero?”

Dandledormitroppo sorrise un po’ vergognoso di essersi lasciato andare alla sua abituale chiacchiera infinita, ma si riprese subito e orgogliosamente esclamò: “Certo! Tagliamo un ramo di questa quercia e te lo buttiamo giù su questo lato, così tu non devi entrare nella foresta, che poi se entri, come si sa, scatta..” Questa volta fu Corvo a bloccarlo, becchettandogli un piede, così Dan si riscosse e chiese a Silvestro se avesse individuato il ramo da tagliare. Il mago ci aveva pensato durante l’attesa e glielo indicò con sicurezza; la banda di elfi si arrampicò sulla pianta e in pochi minuti tagliò il ramo e lo gettò verso il mago. Questo chiuse ancora gli occhi, ringraziò la pianta che gli sembrò restare immota come in attesa, allora ricordò e gridò preoccupato verso il suo piccolo amico: “Dan, hai portato la ghianda?”

“Ma certo!” rispose questo dall’alto, poi si lasciò scivolare giù per il tronco e mostrò nel palmo della mano una bella ghianda verde, con il suo cappuccetto marroncino. “Bravo!” esclamò l’altro “Per favore, scava una buca ai piedi della quercia e interrala lì. Deve prendere il suo posto.” L’elfo eseguì e promise che l’avrebbe tenuta d’occhio e anche annaffiata se occorreva, però – aggiunse – non poteva garantire niente contro gli animali del bosco. “A quello ci penso io” disse Silvestro, e puntando Gilda sulla buca dove riposava la futura quercia, chiuse gli occhi e mormorò un “Che nessuno, né animale, né umano, né fulmine o altra calamità possa recarti danno”. Una luce calda si sprigionò dalla bacchetta e si infilò nella buca dove, Silvestro lo sapeva, avrebbe avvolto il prezioso seme e la futura piantina per tutto il tempo necessario. L’anima della pianta vibrò tutta di piacere dietro le palpebre chiuse del mago.

Seguirono saluti, un po’ tristi per la nuova separazione ma anche lieti, per Dan perché con la quercia rimaneva nella Foresta un po’ di Silvestro, e per questo perché nel suo cuore brillava il calore dell’amicizia di quanti, piante, animali e creature fatate, lo avevano aiutato.

Allontanandosi dalla quercia, con in braccio il poderoso ramo da cui doveva ricavare il suo mestolo, Silvestro sorrideva, e ancora sorrideva salutando l’amico corvo invitandolo ‘di quando in quando’ a mangiare qualche ciambella. Poi sollevò Gilda e si lasciò portare di nuovo a casa, nella vecchia casa, dove Baltasar lo attendeva con i piani per la sua nuova casa.

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