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Arancio – diciottesimo episodio – Silvestro cambia casa

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Quando Silvestro entrò nella grande cucina di casa Balta, sembrava che tutti lo stessero aspettando.

Il vecchio padrone di casa non si stupì per niente vedendolo arrivare con in braccio un grosso ramo secco di quercia, che gli fece cenno, con un sorriso compiaciuto, di posare in un angolo. Il giovane si aspettava di ricevere almeno un complimento per l’impresa portata a termine in così poco tempo, ma il suo ospite si limitò a battergli una mano sulla spalla trascinandolo poi per un braccio di fronte ad un grande foglio steso sul tavolone. Era una mappa precisa dell’aranceto, e riportava in un punto, che Silvestro riconobbe come la parte più alta e assolata, un riquadro tracciato sembrava con un pennarello, anche se la linea di contorno non era stabile e continuava ad avere piccoli sussulti, come tremasse.

Ecco qua!” esclamò Baltasar  “Questo è il miglior posto per costruire la tua casa, non ti sembra?” e senza aspettare risposta, proseguì. ”Ora ho bisogno che tu mi dica di quanti piani dev’essere – secondo me due bastano – e quante stanze vuoi, se ci vuoi un terrazzo – beh direi di sì, ovviamente – e anche un piccolo portico da dove ti puoi godere il tramonto…” e mentre parlava muoveva sulla pianta una strana bacchetta, più corte di quella di ordinanza, con la punta luminescente. Sotto la sua mano il contorno del riquadro cresceva in altezza, formando un modellino tridimensionale di casetta a due piani, con un terrazzo che correva sul lato est, ed un piccolo portico sul lato ovest, dove.. 

Fermo, fermo! – gridò Silvestro che aveva capito il gioco – allora, due piani vanno bene, ma il portico più grande per favore, che ci possa stare dentro un dondolo, come nei vecchi film americani dove mostrano villaggi dell’ovest, sai? ”  Baltasar lo guardò perplesso ma comunque ingrandì il portico – “e il terrazzo, ok, ma mi piacerebbe che ci mettessi una scaletta che porta sul tetto, si lì va bene, così se mi viene voglia di guardare le stelle posso andare a stendermici sopra, no che non scivolo, e ci mettiamo una zona libera da tegole con una finestra a vetro, così se ho freddo le stelle le posso vedere anche dalla camera sotto…”

Mentre parlava la casetta prendeva forma in tutti i particolari, con la cucina, e tre stanze a pianterreno di cui una con un grande caminetto e una con le pareti stondate, suggerita da Rosmilda ‘per far giocare i bambini senza pericoli’, con grande imbarazzo di Silvestro che però non ebbe il coraggio e forse nemmeno la voglia di opporsi. E poi una scala interna, e al piano superiore tre camere ed un comodo bagno con vasca: su questa Silvestro insisté particolarmente, “Per quando sarò vecchio, disse: l’acqua calda fa bene ai reumatismi.” , suscitando una risata dei bambini di casa, che nel frattempo erano entrati ed ammiravano a bocca aperta la costruzione della casa sulla tavola.

Una volta progettata, la casa fu costruita in un batter d’occhi. Con l’aiuto di tutta Settestreghe, naturalmente: gli abitanti non si erano dimenticati che Silvestro aveva salvato e riportato a casa la loro fata madrina, Selene. Si erano messi tutti all’opera, sotto la guida del vecchio Baltasar.

A Silvestro, guardandolo dolcemente con i suoi occhi scuri , il suo maestro aveva detto solo: “A costruire la casa ci pensiamo noi. Mi hai mostrato come la vuoi e così sarà, stai tranquillo, non cambierò nemmeno un mattone. Tu pensa invece come arredarla, almeno per le cose essenziali, perché, la prima volta che ci entra, lei non trovi un ambiente freddo, scarno, poco invitante… come sono in genere le case degli uomini soli. Io, se non ci fosse stata Rosmilda ad aiutarmi, avrei ancora le lampadine appese con un filo, i muri tutti grigi e nudi e dormirei su un tavolaccio di legno. Così era in effetti prima che arrivasse lei. “ E nel dir così aveva carezzato teneramente la testa grigia di sua moglie, che gli sedeva accanto e che aveva chinato la testa per nascondere il brillìo dei suoi occhi a quel complimento, mentre da sotto il grembiulone da cucina che toglieva solo per lavarsi e dormire faceva uscire una mano grassoccia che intrecciò con quella che Baltasar aveva stesa aperta verso di lei. Pur commossa, Rosmilda non riuscì a trattenere una battuta: “Ed avrebbe ancora addosso gli stessi calzini del giorno che l’ho incontrato! Era un bel mago – soggiunse con un lieve sorriso un po’ imbarazzato – ma aveva un odore…”     

Silvestro, che si stava già imbarazzando per conto suo a quel ‘lei’ pronunciato dal vecchio, scoppiò a ridere, e nemmeno questi si offese, anzi sorrise al vedere come sua moglie avesse cacciato – almeno per il momento – le paure del suo pupillo e partì per formare la squadra.

 

La supervisione dei lavori la tenne per sé, ma affidò la direzione degli ‘operai’ al maestro di scuola Nando, che era abituato a tenere sotto controllo i suoi allievi. La sistemazione del terreno per le fondamenta fu affidata ad un gruppo di animali: cervi e daini mangiarono tutto il sottobosco, i cinghiali tolsero di mezzo tutte le radici ed i ciocchi sporgenti dopo che il falegname del villaggio aveva eliminato i pochi alberi che impedivano la costruzione, ed una banda di castori appiattì tutto per bene con le grosse code. Sul rettangolo di terreno pulito che ne risultò, una squadra di maghi edificò nel giro di due giorni una deliziosa villetta a due piani in legno di abete, completa di portico, con un terrazzo che girava tutto intorno (con relativa scaletta per salire sul tetto), una scala interna ed un grande focolare in pietra. 

 

Per le finestre e il lucernario sul tetto utilizzarono così com’era il vetro che si produceva in un villaggio confinante, ma sulla finestra di quella che doveva essere la camera da letto di Silvestro e della sua futura compagna, Balta operò una sua magia, che faceva apparire sui vetri immagini sempre diverse, a seconda dell’umore degli abitanti. “Così – spiegò a Silvestro – potete capire subito dal mattino se c’è qualche problema tra voi o tutto fila liscio, ed in entrambi i casi è meglio saperlo, soprattutto se si è di poche parole come te!” concluse con una grassa risata. Silvestro non riuscì a decidersi tra il ridere e l’arrossire, e così fece entrambe le cose.

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