Un raggio di sole che filtrava dalla tavole sconnesse del capanno svegliò Silvestro che richiuse subito gli occhi, si stiracchiò e annusò il profumo delle ciambelle di Rosmilda.. che però non c’era. Gli unici odori che sentiva erano quello selvatico del muschio che ricopriva il tetto ed un altro meno piacevole, che si rese conto venire da qualcosa accanto a lui. Si drizzò a sedere, aprì gli occhi e ricordò: era nella foresta dei Mille Incanti e doveva raggiungere il labirinto delle fate, insieme all’elfo, Dan come si chiamava. Che poi era il qualcosa sdraiato accanto a lui e ancora beatamente immerso nel sonno. Il mago lo guardò, mentre un pensiero di cui si senti un po’ colpevole gli attraversava la testa: ‘Ma gli elfi non si lavano mai?’.
E mentre cacciava il pensiero, con una mano scuoteva la spalla dell’elfo, mormorando: “Dan, sveglia! Dobbiamo muoverci!” Ma quello parve non aver sentito. Lui alzò la voce e lo scosse con più forza, ma senza esito. Al terzo inutile tentativo si ricordò il suo nome intero: Dandledormitroppo. Con un sospiro decise di dare intanto un’occhiata fuori, ma non fece in tempo ad aprire la porta che uno sciame inferocito di insetti grossi come calabroni si infilò nel capanno.
L’urlo del mago riuscì a svegliare l’elfo, che balzò in piedi e.. gettò a terra Silvestro, urlandogli: “Non ti alzare, i pungitutto non riescono a volare bassi, striscia fuori piano.” Appena fuori dal capanno Dan richiuse la porta, guardò Silvestro da sotto in su e gli disse: “E ora scappiamo! Quelli ormai ci hanno individuato e non ci lasciano!” Dalle fessure del capanno gli insetti cominciavano già a passare, ma i due non stettero a guardarli e si infilarono a gambe levate tra gli alberi.
“Fai qualcosa, fai qualcosa!” urlava Dan mentre Silvestro agitava inutilmente la bacchetta impermalita. Finalmente si parò di fronte a loro un torrente ed entrambi si tuffarono senza pensarci un secondo. Dan tirò Silvestro sott’acqua e gli fece cenno di tacere. ‘Come se sott’acqua potessi aprire bocca’ pensò l’altro. Quando già le loro riserve di ossigeno si stavano esaurendo, si accorsero che il ronzio era scomparso. Dan tirò fuori la testa e si alzò in piedi con un sospiro di sollievo. ‘Andati!’ esclamò. Usciti dall’acqua, strizzarono alla meglio i loro vestiti e presero il sentiero giusto, quello che doveva portarli al labirinto delle fate.
“Va bene, vengo.” Aveva sospirato l’elfo. “Però ho fame” disse poi al decimo passo. “Beh, anch’io -rispose Silvestro- vuoi un’arancia?” “Non riesci a tirare nient’altro fuori da quelle tasche?” “Senza l’aiuto della mia bacchetta, no. Ma le arance sono buonissime!” infilò la mano in tasca e gliene porse una.
Dopo qualche ora di cammino, durante il quale il piccolo elfo non aveva mai smesso di chiacchierare, tanto che Silvestro dopo la prima ora si era infilato nelle orecchie i pappi cerosi di una pianta che cresceva lungo il sentiero, limitandosi a sorridere e fare sì con la testa quando Dan lo guardava, il mago si rese conto che il bosco era cambiato: i tronchi degli alberi da marroni avevano preso una tonalità gialla luminescente, l’erba era diventata viola e… anche Dan era cambiato: si era allungato tutto e dal corpo gli uscivano raggi di ogni colore.
Il mago si fermò: ”Dan – disse – cosa sta succedendo?” “Perché?” chiese l’altro guardandolo. Silvestro si tolse dalle orecchie i pappi per sentire la sua risposta, e crollò a terra. Qualche secolo dopo, gli parve, o forse solo qualche minuto, riaprì gli occhi: l’elfo gli stava spiaccicando nelle orecchie un impasto appiccicoso che gli infilò anche in bocca senza complimenti, ordinando: “Ingoia!”. Silvestro obbedì e mentre il suo compagno lo aiutava a mettersi seduto, lentamente il mondo intorno a lui tornò a posto. “Me lo potevi dire che ti annoiavo.” brontolò Dan guardandolo corrucciato “Non c’era bisogno di usare una pianta allucinogena”. “Pianta..? “ “La schemotìpia qui la impariamo a conoscere da bambini, crea allucinazioni pericolose; meno male che l’hai messa nelle orecchie, se la mangiavi a quest’ora eri cibo da Troll”. “Co-cosa mi hai dato come a-a -antidoto?” Balbettò Silvestro ancora tutto sottosopra. “Bava di lumaca mescolata a cacca di tasso. T’è andata bene che ce n’era uno proprio sotto quell’albero che faceva i suoi bisogni”. Silvestro represse un conato di vomito e mormorò “Grazie, Dan. Non me ne dimenticherò. E scusa..” “Lascia stare, pensavo almeno con te di poter parlare un po’. A casa mi fanno sempre star zitto.”
Viaggiarono in silenzio ancora per un bel tratto, e Silvestro si era convinto che i pericoli mortali di cui aveva parlato la sua guida fossero frutto solo di millanteria. Durante la strada aveva incontrato qualche pianta di belladonna, le cui proprietà velenose conosceva bene, e giusto a titolo di precauzione aveva staccato qualche lucente bacca nera e l’aveva infilata in cinque o sei arance.
Perciò rimase quasi stupito quando ad una svolta del sentiero si vide davanti due strani tronchi d’albero neri e pelosi.