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SCRIVERE PER GUARIRSI – La scrittura può essere terapeutica?

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Secondo me, assolutamente sì. Negarlo oltretutto non produce migliore letteratura, e non ha neanche granché senso. In questa convinzione ho la compagnia di persone ben più autorevoli di me, come la poetessa, scrittrice e insegnante di scrittura creativa britannica Nicki Jackowska. Sentite cosa dice in questo articolo che ho ripreso dal sito ‘Il Mestiere di scrivere’1autore Francesco Izzo, ottobre 2011:

Bisogna anche smettere di tormentarsi sulla falsa dicotomia originata dall’angosciosa domanda: non può essere vera letteratura se ha anche un effetto terapeutico? O, al contrario: questa è letteratura, un’attività obiettiva che non può avere niente a che fare con la terapia.

Non sono mai riuscita a capire perché alcune persone ritengano così necessario insistere su questa distinzione. Le risposte sono due: per prima cosa, il fatto che un’attività debba essere di un tipo o di un altro e che sia necessario definirne una deriva da una tradizione filosofica e materialistica… che non è in grado di cogliere e di far proprio il concetto di dialettica, di ambiguità, di pluralità di punti di vista, di realtà pluridimensionale. Chi scrive è una creatura complessa, destinata a incontrare molte cose nel corso della propria attività e chiamata a scoprire ed ampliare ciò che per definizione è nascosto e ristretto, nel mondo e in se stessa.

Per coloro che non riescono ad accettare il fatto che scrivere significa avventurarsi alla scoperta del proprio io e insieme creare letteratura la risposta è molto semplice: è proprio ciò che io sto facendo. Sono stata chiamata ad esplorare le tenebre, le regioni più fosche della mia psiche, le emozioni che vanno oltre la mia naturale esperienza, ma anche ad accanirmi e a lottare con le parole in modo che il mondo che creo abbia una consistenza propria. Sono processi convergenti per la maggior parte degli scrittori e per le centinaia di studenti con i quali ho lavorato negli ultimi venticinque anni.

Sono cambiata e continuo a cambiare e a sviluppare me stessa e gli altri nel corso di questo processo. Il mio scenario intellettuale, emozionale e spirituale è sempre in evoluzione. Vi sono stati momenti che potrei definire traumatici e altri di conquista. Ma grazie a essi ora mi sento più completa e credo di avere a disposizione una parte maggiore di me stessa e del mondo per lavorare. …. Scrivere significa rischiare, sfidare, scontrarsi. Scrivere significa dare un senso più ampio all’espressione “sentirsi vivi”. Scrivere significa fare qualcosa che chiamiamo letteratura. Il termine “terapeutico” descrive così bene una certa parte del processo che talvolta esito a portarla alla luce perché può far supporre che si tratti di un processo disgiunto, che necessita di una considerazione a parte.

Di Nicki Jackowska consiglio, a chi è d’accordo con quanto detto dall’autrice, la guida pratica alla scrittura creativa “Scrivi e scopri te stesso” – traduzione di Silvia Maria Cristina Calandra – Ed. Mondadori 2000.

Da quello che dice Jackowska si deduce che per lei la scrittura ha un indubbio valore per la scoperta di se stessi, che porta infine a sentirsi più completi. Mi chiedo e vi chiedo se questo significa anche guarirsi.

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Attivare un processo di esplorazione del proprio sé, portare alla luce emozioni nascoste, memorie sepolte, traumi dimenticati, ma anche reazioni, sentimenti, abitudini di pensiero e di comportamento  che non ci rendiamo conto di avere, attiva automaticamente un processo di guarigione? O serve solo a depositare nella nostra consapevolezza un carico pesante da gestire? So che per rispondere a questa domanda si tirano in ballo teorie psicologiche, credenze, ideologie, filosofie, e si potrebbe non venirne a capo. Me lo sto chiedendo perché mi capita che persone che seguono i miei corsi di fronte a certi esercizi che stuzzicano la loro interiorità se ne escano con ‘ma io non voglio stare più male andando a ricercare anche queste cose, la mia vita è già abbastanza pesante così’.

Eppure io credo che portare alla luce i propri nodi interni è il primo passo per scioglierli. Non è che se li lasciamo dove sono e facciamo finta di niente non abbiano potere su di noi, anzi. Per sconfiggere i propri avversari, in qualsiasi campo, bisogna sapere come si muovono. Eppoi, come diceva G. Lynn Nelson, se non si porta fuori la spazzatura non si fa spazio per le cose migliori dentro di noi.

La vostra vita è come una casa, la dimora del vostro essere. Se non portate fuori la spazzatura, questa riempie la casa, che diventa un posto malsano per viverci. Non riuscite più a vedere fuori dalle finestre. Vedete tutto attraverso il filtro della vostra spazzatura. Vi ammalate e fate scelte insane. E la vostra spazzatura si riversa sulle persone intorno a voi.2G. Lynn Nelson, Writing and being – ediz. LuraMedia 1994 USA.

Di G. Lynn Nelson, che ci ha lasciati nel 2014, della sua attività come insegnante di scrittura alla Arizona State University e direttore di una sezione regionale (Greater Phoenix Area) del National Writing Project (NWP) americano, parlerò ancora, perché utilizzo molti dei suoi suggerimenti nei miei corsi. I suoi libri non si trovano per ora tradotti in italiano, purtroppo.

Ma intanto vorrei concentrarmi su questo assunto di base: che la scrittura può aiutarci a stare meglio con noi stessi, e lo fa in così tanti modi! Più vado avanti nella scrittura degli articoli di questo sito e più mi rendo conto che veramente tutto è collegato: l’ultimo articolo che ho scritto parlava del punto di vista del narratore, e non ero entrata in dettaglio a spiegare come i diversi punti di vista avvicinano o allontanano chi legge dal personaggio, questione abbastanza intuitiva ma comunque interessante. Adesso mentre scrivo mi viene in mente che la narrazione in terza persona ‘onnisciente’ (che allontana la visione, e, come in un campo lungo cinematografico, fa vedere l’intera storia nei suoi dettagli) è quella che ci aiuta anche, se raccontiamo episodi che ci hanno visti protagonisti, a prenderne le distanze, a ‘filtrare’ meglio le emozioni provate allora, a capire meglio la situazione di chi ha vissuto quei momenti insieme a noi: ed in ultima analisi a decantare la rabbia, il dolore, la frustrazione, a comprendere più a fondo le passioni.

Potete fare una prova voi stessi:GIRARE IL FILM DELLA PROPRIA VITA

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