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La casa al mare

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LA CASA AL MARE

di Mario Bartoli

Percorse tutto il viale, ombreggiato, ed entrò nella piazza prospiciente il lungomare, dannatamente assolata, erano le due di un pomeriggio di luglio. Aveva un appuntamento con un agente dell’immobiliare “La Pinta” per l’acquisto di una villetta in zona Roccamare a Castiglione della Pescaia, comperata su carta a Milano, tramite la prestigiosa immobiliare di cui sopra. Si guardò attorno cercando un po’ d’ombra per parcheggiare ma tutta la piazza era terribilmente al sole, il calore che rilasciava l’asfalto produceva l’effetto ottico delle panchine galleggianti a mezz’aria. Riguadagnò il viale, oasi d’ombra in quella spietata canicola, cercando un possibile parcheggio, ma invano: tutto il viale era a divieto di sosta su entrambi i lati.

Quindi a malincuore tornò nella piazza, dove i parcheggi – guarda caso – erano tutti vuoti e spense il motore ma anche l’aria condizionata cessò di funzionare, facendo immediatamente salire il calore all’interno.

Uscendo dall’auto, un’Alfa Romeo Stelvio che amava come un essere umano, dove stava ad una temperatura costante di 20 gradi, e il cui parcheggio al sole lo faceva gemere come un padre apprensivo, si trovò avvolto da spirali di caldo sahariano. Con lo sguardo cercò immediatamente un riparo e lo vide in uno stabilimento balneare ad un centinaio di metri da lì. Si mise la giacca sulla testa, la cartelletta dei documenti sotto braccio e più svelto che poté si diresse lì.

L’aria condizionata del bar del bagno “Il gabbiano”, dove si era rifugiato, gli gelò il sudore sulla schiena; la camicia di lino sembrava una vecchia carta assorbente. Ordinò una birra ghiacciata e si mise a ristudiare la bozza di compromesso della villetta che aveva comprato solo sulla carta e che ancora non aveva visto; non capiva bene cosa non andava ma c’era qualcosa che non gli quadrava.

Si guardò attorno: il salone del bar a quell’ora stanca del primo pomeriggio era vuoto, ad eccezione di lui e di un’annoiata barista che dietro il bancone fumava, con lo sguardo perso oltre l’orizzonte, al di là dei vetri fumé che filtravano l’accecante luce solare.

Il cellulare gli vibrò nella tasca: -Ciao, sono io, allora hai concluso con il signor Colombo? –

-Tesoro, ancora no, dovrebbe essere qui tra poco. Stai calma appena ho chiuso l’affare ti chiamo.-

– E’ che non sto più nella pelle, anche noi come i Pradelli avremo la nostra casa in Toscana, in Maremma, vicina a dove villeggiava Calvino e Fruttero, ma ci pensi! –

– E certo che ci penso, è una vita che mi assilli! –

– Mi raccomando, amore, non andare da solo, devi venire a prendermi a Pisa, arrivo con il volo delle diciassette da Milano. –

– Certamente tesoro, non ti priverò del piacere del primo ingresso e se questa maledetta lombaggine non mi torturasse così, ti prenderei in braccio nel passare la soglia.-

– Uhhh amore mi fai ricordare certi giorni!! –

– Buon pomeriggio commendator Sacchetti! –

A quelle parole l’apostrofato si riscosse, posò il telefono ed osservò l’interlocutore: non era faccia conosciuta.

– Dottor Sacchetti, leggo dello stupore in lei… Mi presento: sono il geometra Simonelli della famosa immobiliare “La Pinta”.-

il Sacchetti, alteratosi non poco,: – Caro geometra come diavolo si chiama, prima di tutto non ho quei titoli che lei maldestramente e malignamente mi attribuisce e poi ero sicuro di incontrare il titolare, cioè il signor Colombo, dato che ho sempre parlato con lui ed è sempre a lui che ho spedito tutti i documenti e sopratutto girato il bonifico pattuito. –

– Ah signor Sacchetti, nessunissimo problema, mi creda, è solo che al signor Colombo sono insorti dei malesseri che lui pensa poter ascrivere a quel virus, di cui se ne parla poco, ma lui, essendo piuttosto ipocondriaco, si è è barricato nella sua villa di Portovenere in attesa del vaccino.-

Mentre il Simonelli parlava, la pressione arteriosa nelle vene del Sacchetti esercitava una tale forza che, se lo avessero fortuitamente bucato, con uno schizzo avrebbe verniciato tutto il bancone del bar.

Il geometra, capendo il conflitto interiore al signor Sacchetti, si affrettò a dire:

Sig.Sacchetti, guardi che è tutto a posto, qui ci sono le chiavi della villa, intanto la può vedere e poi lunedì alle 12.00 va dal notaio Giacalone a Grosseto, in Via XX Settembre n.12 interno 8 per il contratto definitivo della proprietà sulla villa a Roccamare. Dal notaio non deve pagare niente, è tutto saldato dall’immobiliare “la Pinta”. Contento ora? –

– Uhm… avrei preferito parlare e concludere l’affare con il signor Colombo, ma di fronte alla salute… sì di questa leggera influenza ne ho sentito parlare da un mio agente di commercio tornato dall’Asia. Beh,allora vedo che qui ci sono le chiavi, la piantina della casa, le coordinate gps per arrivarci, vado di corsa all’aeroporto di Pisa a prendere mia moglie. Arrivederci Simonelli! –

Il Sacchetti indossò di nuovo la giacca, tutta stropicciata dal suo agitarsi sulla seggiolina, mise tutto nella cartella dei documenti, si frugò nelle tasche per pagare la birra, ma fu fermato con gentilezza dall’altro: – Offre “la Pinta”,ci mancherebbe! Vada pure tranquillo, qui ci penso io.-

Il Simonelli pagò le consumazioni alla barista, che continuava a fissare l’orizzonte, persa in chissà quale ozio estivo, poi, come se avesse qualcuno alle calcagna, uscì in strada, inforcò uno scooter e senza indossare il casco prese velocemente la direzione di Bibbona.

La Stelvio parcheggiò nell’area vip dell’aeroporto “Galilei” di Pisa. L‘aereo della moglie del Sacchetti, Veronica, proveniente da Linate, era in leggero ritardo. L’uomo stava sorseggiando un chinotto al bar dell’aeroporto, con il capo perso nei dettagli di questo affare, che gli arrivò alle spalle sua moglie Veronica: fresca, bella, inappuntabile nel suo tailleur color carta zucchero da donna d’ affari, tacchi alti, borsa firmata, gli occhiali portati sulla testa come una passata, le gambe da urlo che le avevano valso il titolo di miss Bergamo 2013 e che facevano ancora voltare chi la incrociava.

– Amore ,eccomi, no non prendo niente grazie, andiamo che l’ impazienza mi divora. –

– Sì sì andiamo, perché una buona ora e mezza ci vuole. A proposito in ditta tutto bene? –

– Certo amore, il contratto con la catena alberghiera Sheraton che tanto ti stava a cuore l’ho concluso proprio ieri, così la premiata ditta di materassi “Sacchetti e figlio” si è aggiudicata l’appalto, siamo loro fornitori di ventimila materassi double face per una cifra spudorata, la villa in Maremma ce la meritiamo! yuuyuu! corri Elvio, corri! –

La grossa Alfa correva in direzione sud; appena superato Livorno, i coniugi Sacchetti concordarono di uscire dall’autostrada e proseguire per la litoranea, cioè la vecchia Aurelia.

– Dai dai Elvio, godiamoci la strada del “Sorpasso”, quel film quanto mi ha fatto sognare, l’Italia del boom economico! Come mi sarebbe piaciuto viverla, mica come ora che se fai i soldi ti guardano con sospetto e rancore… –

Elvio rimuginava, asseriva con la testa ma l’aveva da un’altra parte. La premura di cautelarsi la salute di Colombo lo inquietava.

Intanto alla loro destra scorreva la costa toscana, calette, macchia mediterranea, gente sugli scogli ad abbronzarsi. Veronica, toltasi le scarpe, accovacciata sul sedile, si beveva il paesaggio, punteggiando di gridolini le varie località famose che attraversavano. A Calafuria volle in tutti modi fermarsi a ripetere il rito di scrivere il proprio nome su di un sasso piatto e gettarlo in mare volgendogli le spalle, come buon auspicio per un ritorno in quei luoghi.

Ad Elvio le bellezze della costa toscana e il sole del tardo pomeriggio che ingentiliva l’atmosfera non facevano effetto: voleva arrivare al più presto per togliersi quel peso che dall’incontro con Simonelli aveva preso a gravargli sul petto.

Veronica inserì su Google maps le coordinate, e come un serpente una striscia blu si materializzò sullo schermo, indicando la via per la tanto desiderata casa al mare.

Era tutto uno zigzagare tra stradelle costeggiate di alti pini marittimi e macchie di lentisco; se il collo di Veronica non si allungò in quel frangente, mai altro evento avrebbe prodotto quell’effetto.

– Ecco, ecco! il gps si è fermato, ci siamo! – urlò Veronica, ma subito la voce le andò in falsetto: la casa al numero civico indicato dal contratto risultava evidentemente abitata.

Elvio intanto riguardava le foto della villetta accluse al contratto, con tanto di particella catastale ecc. ecc.; l’acquisto era proprio quello, non sussistevano dubbi.

Si attaccò al campanello come un ossesso, mentre nella sua testa cominciava a farsi strada una dirompente verità.

– Buona sera, desiderate? –

Da sotto il patio uscì un uomo in pantaloncini corti e ciabatte, capelli ancora bagnati, asciugamano sulla spalla.

Elvio, con una vocina pochissimo convinta: – Avrei comperato questa casa, tramite l’immobiliare “la Pinta “ del sig. Colombo…-

– Mi presento: Rodolfo Lapi, il proprietario di questa casa da diversi anni. Da quello che vedo anche voi, come quei tali che si sono presentati qui in primavera, con documenti simili ai vostri, siete stati raggirati da quel ciarlatano del Colombo o come diavolo si chiama.

-Oh Rodolfo! Anche questi signori sono cascati nelle grinfie del Colombo? – disse uno che tornava dal mare in bici e si era fermato a gustarsi la scena – Quella di primavera, l’agenzia, se non sbaglio, si faceva chiamare la “Nina“, questa la “Pinta”, la prossima sarà di sicuro la “Santa Maria”, così dopo l’ammiraglio Colombo la via per le Americhe l’ha belle che spianata ahahh!! Ciao Rodolfo a domani, arrivederci anche a lor signori.- e risalito in bici si allontanò fischiettando lungo il vialetto.

-Signori, non so che dirvi, mi dispiace, l’unica è sentir un avvocato.- e dette queste parole il Lapi rientrò nella sua casa.

A Veronica, che in questo lasso di tempo non aveva proferito parola, si visualizzarono le risatine sotto i baffi delle sue amiche del circolo canasta “Gallarate“- informate dalla Pradelli – e iniziò a piangere sommessamente.

Le lacrime, assieme al sudore della tensione, sciolsero il trucco, trasformandole il viso in una maschera del teatro Kabuki.

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