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Arancio – diciannovesimo episodio – Selene arredatrice

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Mentre la squadra dei maghi costruiva, Silvestro cercò di pensare all’arredo interno come gli aveva consigliato il suo vecchio amico, ma non avendo mai abitato in una casa tutta sua gli riusciva veramente difficile arrivare a delle conclusioni definitive: un momento pensava a toni sul viola e sull’arancio, che dopo qualche momento gli sembravano troppo sfacciati e ripiegava sul blu e verde, che però subito dopo gli sembravano troppo tristi. E poi doveva decidere senza conoscere i gusti della sua ‘forse’ compagna, se mai fosse riuscito a procurarsela, ed ancora di più lo imbarazzava imporle un ambiente che non aveva scelto.

Stava appunto rimuginando sulla sua incapacità di decidersi, fermo in piedi di fronte alla casa ormai quasi finita, quando sentì accanto a sé un frullo d’ali e quel profumo dolcissimo, quella sensazione tra il fresco e il caldo che conosceva bene, e seppe senza voltarsi che Selene era accorsa in suo aiuto. La fata, nel vedere il rossore salire al volto del mago nel salutarla, trattenne a stento un sorriso divertito e si limitò a posargli una mano diafana sulla spalla, dicendogli con una strizzata d’occhio: “Ti aiuto io”.

Dimmi, Silvestro – chiese Selene con la sua voce armoniosa – cos’è che non ti fa sentire a disagio quando entri per la prima volta in un posto nuovo, dove non conosci nessuno?” “Ve ..veramente io a disagio mi ci sono sempre sentito, tutta la mia vita – rispose lui con una punta di vergogna che gli fece tremare la voce. Solo quando sono arrivato a casa di Balta non è successo.” Silvestro chiuse gli occhi come per ricordare meglio e con voce ora sicura proseguì. “C’era questa sensazione di calore, ma senza chiasso, un po’ come quando inizia il crepuscolo, sai? E tutta la casa sembrava aprirsi, non c’erano angoli che nascondevano chissà cosa, e poi… poi c’era quell’odore… Un profumo un po’ di gelsomino e un po’ di ciambelle calde. Sai -precisò – Rosmilda cucina delle ciambelle favolose e in casa ce ne sono sempre di fresche. Dava una sensazione di tranquillità, e insieme di benvenuto. Mi ci sono sentito subito a casa!” concluse con un piccolo sospiro all’idea che quella, che era stata la sua casa per tanti anni, tra poco non lo sarebbe stata più, e tornando a fissare quasi con malevolenza i muri bianchissimi della sua nuova abitazione.

Muri su cui ora s’inerpicava prepotente un gelsomino fiorito, che spandeva un profumo inebriante, e dalle cui aperture – le finestre non erano ancora state montate al pianterreno – si intravvedevano colori lievi, quasi sorridenti. “Vieni, Silvestro, vediamo se ti piace.” lo invitò, tirandolo per una mano, la fata madrina, che mentre lui parlava aveva continuato ad agitare la sua bacchetta in aria. Lui non ebbe nemmeno il tempo di notare quanto fosse intimo quel contatto e arrossire di conseguenza, perché appena varcata la soglia, si trovò in una stanza d’ingresso dalla calda luce dorata, sulle cui pareti s’intrecciavano verdi foglie di edera e convolvoli nei toni del rosa e del viola.

L’ingresso era fatto a semiciclo e sfociava sulla destra in una sala dove sembrava che il sole stesse per sorgere, con i muri che trascoloravano da un pallido color tortora ad un rosa tenue; interrompeva il parquet un grande tappeto lilla, così soffice anche solo a guardarlo da invitare a togliere le scarpe e camminarci sopra a piedi nudi. Sofà evidentemente comodissimi dalle linee morbide e cuscini in tinta si alternavano a tavolini bassi in caldo legno di ciliegio – per mangiare seduti a terra quando si ha voglia di romanticismo – precisò Selene con una punta di amichevole ironia. Un parete era occupata da una strana libreria dalle linee curve, che formavano quasi un arabesco sulla parete. “Sembra poco pratica – gli spiegò sorridendo la fata – ma è adattevole… ci puoi sistemare tutti i libri e gli oggetti che vuoi, e lei fa posto.” E proseguì: “Ho scelto i colori dell’alba, perché col tramonto avrei dovuto usare toni tropo accesi, spero vada bene lo stesso.” Silvestro guardava tutto a bocca aperta, con i grandi occhi azzurri che sembravano ancora più grandi da quanto li teneva spalancati. All’improvviso un profumo noto gli solleticò le narici: si voltò, in tempo per vedere spuntare nell’ingresso un grazioso tavolinetto su cui era posata una ciotola piena di ciambelle, accanto ad un basso vaso di vetro su cui galleggiavano fiori d’arancio. Il loro aroma fresco ed insieme seducente lo avvolse, trasportandolo per un attimo nella sua terra natale. Ebbe l’impressione che da un momento all’altro dalla porta d’ingresso dovessero spuntare la figura snella e i lunghi capelli neri di Valeria, la ragazza di cui era stato innamorato, e senza sapere perché arrossì violentemente.

Selene non gli diede tempo di soffermarsi su quel ricordo e lo sospinse nelle altre stanze. Alla cucina calda e confortevole si accedeva dalla sala per un arco di mattoni. “Si chiude, quando si cucina, non ti preoccupare!” rise la fata vedendolo inarcare le sopracciglia, e con un rapido gesto fece scorrere una parete di vetro opaco con un disegno a smeriglio a chiudere perfettamente l’arco. “Poi ti insegno come fare.” e lo sospinse avanti, verso una stanza completamente vuota, ma anch’essa con i muri colorati, più vivaci di quelli della sala, e come questa cangianti. “La stanza dei bambini – spiegò in fretta – a questa ci dovete pensare voi.”

“Noi chi? Bambini? Ma non stiamo correndo un po’ troppo?” pensò frastornato il giovane mentre lei lo trascinava nell’ultima stanza del pianterreno, un tinello – studio dai colori più freddi, tra il verde e l’azzurro, con un bel caminetto… e basta.

Allo sguardo interrogativo di Silvestro, la fata lo guardò in risposta con un sorrisetto tra l’indispettito e d il divertito. “Qui è dove passerai molto del tuo tempo per i tuoi studi, o per le riunioni con i tuoi colleghi maghi… sarà il caso che ti impegni da solo per l’arredo. E poi mi sembra di aver fatto abbastanza!” concluse un po’ acida e fece per volarsene via, ma Silvestro la trattenne per un lembo della veste argentata e, miracolosamente senza arrossire, e guardandola dritta negli occhi, emise il “Grazie” più riconoscente che la madrina avesse mai sentito. Qualsiasi traccia di risentimento sparì dal suo bel volto diafano e in tutta risposta, mentre prendeva il volo, gli sfiorò una guancia con la mano. Ora sì, Silvestro arrossì, ma lei era già sparita.

Nei giorni successivi il neomago si impegnò ad arredare il resto della casa prendendo spunto dallo stile della fata madrina, ma alla fine decise di fare il minimo indispensabile per renderla vivibile e rimandare ulteriori abbellimenti all’arrivo della sua futura compagna, arrivo che cominciava a presentarsi alla sua mente sempre più complicato, per non dire improbabile, via via che i giorni passavano.

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