Mi sono messo in un bel pasticcio –pensò Silvestro guardando con occhi dolci dolci la bacchetta magica e sussurrando “Dai bacchetta, bacchettina, la più bella bacchettina del mondo – e qui si sentì un tantino ipocrita – perdonami, su, non volevo offenderti”.
Ma niente: se la bacchetta avesse avuto una faccia, l’avrebbe voltata dall’altra parte.
– E va bene, dovrò arrangiarmi –mormorò – che sarà mai in fondo? Da piccolo mi arrampicavo sempre in cima agli alberi.. – e fece l’errore di guardare giù, giù, giù, ma quanto giù andava quel pino? Non se ne vedeva la fine. Per un attimo gli girò la testa e stava quasi per cadere, ma poi chiuse gli occhi, ristabilì l’equilibrio centrandosi perfettamente e iniziò a scendere un ramo dietro l’altro, recitando una sua litania che lo mantenne saldo fino a che toccò terra.
“Bravo!” lo accolse una voce squillante “Pensavo quasi che non ce l’avresti fatta”. Silvestro riaprì gli occhi: di fronte a lui c’era un piccolo elfo, con enormi orecchie a punta ed un sorriso sproporzionato. “Scusa, ma sei un mago – riprese l’elfo – perché non hai usato la bacchetta?” “Storia lunga. –sospirò lui– Tu chi sei? Ah, scusa, che scortese sono. Io mi chiamo Silvestro.” “Dandledormitroppo, piacere. Puoi chiamarmi Dan.” ”Piacere mio, Dan. Da dove viene il tuo nome?” “Storia lunga… Che ci facevi sul quel pino?” “Beh, i figli delle fate mi hanno preso per una pallina da flipper, e mi sono dovuto trovare un posto sicuro. Senti, tu.. sei un elfo, vero?”
“Che non si vede? Berrettino verde, scarpe a punta, calzamaglia, tutto regolare, no? Certo che sono un elfo.” Silvestro stava per dire che veramente lui aveva notato le orecchie allungate e la bocca troppo larga, ma non voleva offenderlo, così continuò:“Ah, bene, so che voi elfi siete creature gentili e aiutate sempre i viandanti…” Dan lo interruppe con uno scroscio di risa che gli allargò ancora di più la bocca e mise in mostra i suoi dentini acuminati
“Ma chi te le ha dette queste baggianate? Noi elfi facciamo quello che ci va e basta!” “Beh, allora, mica ti va di insegnarmi la strada per il labirinto delle fate?” La risata si interruppe. “Che ci vai a fare in quel postaccio? Le fate lo usano per divertirsi con i malcapitati, e se ci entri ti assicuro che non ne esci.”
Silvestro spiegò che doveva liberare la fata madrina di Settestreghe, prigioniera nel labirinto. L’elfo replicò che c’erano diversi giorni di viaggio per arrivarci, che era possibile fare incontri pericolosi e incappare in trappole mortali, ma proprio mortali eh! E insomma poteva fargli vedere la direzione, però di portarlo fin lì non se la sentiva. “Meglio che niente” commentò il mago e si tolse distrattamente di tasca una delle sue arance cominciando a sbucciarla. Era un giorno che non mangiava e lo stomaco cominciava a brontolare. Alzò gli occhi e vedendo lo sguardo stupito dell’elfo gli porse uno spicchio: “Ne vuoi? E’ buono, provalo”.
Dan prese lo spicchio, aspettò che Silvestro ne avesse mangiato uno, poi lo mordicchiò sospettoso. Un gusto metà acidulo e metà dolcissimo gli si diffuse in bocca, tanto intenso da fargli chiudere gli occhi ed emettere un aaah! che il mago non capì se era di apprezzamento o di disgusto. L’elfo riaprì gli occhi e allungò la mano.
“Ancora, ancora! Che meraviglia è questa?’” “Si chiama arancia, è un nuovo frutto che ho piantato a Settestreghe e devo dire che ha avuto un certo successo. – rispose lui con falsa modestia – Tra l’altro è ottimo contro gli incantesimi malefici.” Questa era una balla colossale, Silvestro si stava giocando la sua carta migliore: senza bacchetta aveva assolutamente bisogno dell’elfo per arrivare al labirinto.
L’elfo s’informò sulle prodigiose qualità del frutto, che l’altro gli descrisse mentendo spudoratamente, e chiese quanti ne aveva. “Tutti quelli che voglio – rispose lui – me li faccio spuntare in tasca direttamente dall’albero.”
E questo, invece, era proprio vero. Baltasar e lui avevano realizzato un incantesimo che coglieva le arance dagli alberi e le faceva apparire direttamente nelle tasche delle loro vesti, all’inizio per divertire i bambini del villaggio, poi per facilitare Rosmilda che ci faceva una marmellata favolosa ma era troppo grassa per inerpicarsi fino all’aranceto in cima al villaggio.
“Posso averne una intera?” chiese l’elfo. “Beh, in teoria, ma…il fatto è che non mi è permesso usarle se non proprio per il mio lavoro. Certo se mi accompagni al labirinto diventi il mio assistente e te ne posso dare quante vuoi.” Silvestro riuscì a dire tutto questo senza incespicare e perfino senza arrossire, complice anche la luce incerta della sera che stava scendendo sulla foresta. Dan ci pensò un po’ su, poi gli propose di dargli una risposta la mattina dopo; intanto gli avrebbe trovato un posto per dormire: lui da solo, povero mago imbranato, sarebbe potuto finire in qualche grotta di Troll o peggio.
“D’accordo” accettò lui con un sorriso divertito. Quella sera si rifugiarono in un capanno poco distante e cenarono ad arance.