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Arancio – 2° episodio –  Silvestro diventa un mago!

La mattina del giorno successivo arrivò molto presto per Silvestro. Anzi secondo lui era ancora notte quando si sentì scuotere delicatamente ma con fermezza e aprendo a fatica le palpebre scorse accanto al letto, nell’incerta luce dell’alba nascente, Baltasar.

“Che…che è successo?” chiese e siccome il vecchio non gli rispondeva, pensò che forse aveva cambiato idea, rivoleva il suo letto e lo stava cacciando di casa per tempo. Era abituato ai rifiuti, per cui buttò giù le gambe magre dal letto, si infilò a tentoni i suoi vestiti e prese in mano lo zaino. Il mago a questo punto si mise a ridere, il che mise Silvestro molto in confusione. Baltasar gli prese di mano lo zaino e lo riappoggiò a terra, poi lo fissò dritto negli occhi e pronunciò le parole che avrebbero cambiato la vita del giovane. “Per essere un mago vero, c’è del lavoro da fare. Tu vuoi diventare un mago?”

Silvestro arrossì, poi sbiancò, poi arrossì di nuovo non credendo a quello che udiva: “Io? Un mago? Ce..certo..ma… posso davvero? Io non so fare cose magiche, solo lanciare in aria le arance, come ieri…”

“La magia, Silvestro, è nel cuore delle persone, e tu ne hai tanta, io la vedo. – rispose Baltasar – Però bisogna tirarla fuori, e per far questo c’è da studiare e fare pratica. Si comincia all’alba, si finisce al tramonto, e spesso si lavora di notte. Non è uno spasso, ma il risultato non ha prezzo. Te la senti?”

“Si.. sicuro! – rispose entusiasta il giovane, che quando era emozionato tendeva a incespicare nelle parole – Quando si comincia?” “Abbiamo già cominciato” e Baltasar allargò le braccia.

La stanza si riempì di una luce strana e Silvestro si accorse di essere non più nella cameretta, ma in cima ad una collina, ancora scalzo e con la camicia fuori dai pantaloni. Per un momento rimpianse il risveglio della mattina precedente e la buona colazione che l’aveva seguito, ma fu solo un momento: mise a tacere lo stomaco che brontolava e guardò il suo maestro in attesa di istruzioni.

Passarono molti, molti mesi.

Per prima cosa Silvestro imparò a stare in silenzio, perché solo così poteva sentire le voci delle creature magiche, la musica degli alberi del bosco e dei fiori dei campi, le conversazioni delle api, il chiacchierare dei torrenti e insomma come ogni cosa intorno a lui si esprimeva. Gli capitò una volta di incrociare un piccolo istrice nel bosco che per la paura drizzò tutti i suoi aculei, e si rese conto che udiva anche la sua paura, come una sorta di mormorio sconnesso: Baltasar gli insegnò a rispondere con suoni rassicuranti, e la bestiola abbassò gli aculei, sollevò il musetto a punta verso di lui e, se non fosse stato che proprio lo riteneva impossibile, Silvestro avrebbe giurato che gli aveva sorriso.

Lo studio delle lingue delle creature del posto, visibili e invisibili– ed erano tante! – prese parecchio tempo, ma Silvestro dimostrò grande pazienza: in fondo, non c’era nessuno che lo aspettava a casa, se non la famiglia di Baltasar che ormai lo considerava un membro adottivo.

Tra una lingua e l’altra, mago Balta – come prese a chiamarlo il giovane con gran divertimento dei familiari (meno dell’anziano mago che si sentiva diminuito nella sua autorità) – gli insegnò qualche gioco di prestigio un po’ più complesso del tirare in aria tre arance.

Silvestro imparò a spostarsi da un punto all’altro a velocità incredibile. Le prime volte doveva stare attento a dove finiva: muretti, alberi e mobili di casa gli lasciarono qualche bel segno addosso, ed anche gli abitanti del villaggio si lamentarono che l’apprendista gli appariva davanti all’improvviso, a rischio di far prendere un infarto ai più vecchi.

Poi imparò a cercare le cose perdute creandosi nella testa la loro immagine: sembrava un’occupazione stupida, ma si rivelò molto utile. Procurò grande contentezza a Rosmilda, la moglie di Baltasar, a cui ritrovò una spilla persa da qualche secolo dentro una vecchia zuccheriera che non usava più, e un enorme sollievo al maestro di scuola Nando, a cui fece ritrovare il gesso magico per scrivere su qualsiasi superficie. Ne aveva in dotazione solo uno e gli era indispensabile nelle uscite con i suoi allievi (era finito dentro uno scarpone che si era tolto dopo un’uscita e che non aveva più usato perché gli martoriava il ditone del piede sinistro). E alla fine Silvestro imparò che poteva ritrovare qualsiasi cosa, in qualsiasi parte del mondo, purché gliene fornissero un ricordo ‘emozionato’, in cui ci fosse una traccia di sentimento che come un sentiero lo guidava.

E molto altro, naturalmente. Ci mise diversi anni, che peraltro passarono velocissimi, e come aveva promesso Baltasar, non incisero molto né sull’aspetto esteriore di Silvestro, tranne per qualche rughetta intorno agli occhi, né sul suo carattere, che rimase un po’ timido e introverso, anche se si era conquistato l’affetto di tutti gli abitanti di Settestreghe e ora sapeva veramente fare moltissime cose. Era un mago.

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Cristiana
Cristiana
4 anni fa

Cara Mila, mi sono letta in un fiato i primi due episodi e già mi chiedo come poter raggiungere un luogo così magico e accogliente! Mi aspetto di trovare una mappa per raggiungerlo nel prossimo episodio 😉
Grazie